martedì 29 maggio 2012

"Andate sotto i banchi".

Io la stavo guardando mentre lei pensava come rispondere alla domanda di storia. La sua compagna, anche lei in piedi alla lavagna, intanto pensava a come avrebbe risposto alla domanda successiva. 
Sento tintinnare le finestre. Guardo la collega di sostegno. "E' il terremoto" ci diciamo.
Allora pronuncio quella frase che ci hanno insegnato a dire: "Andate sotto i banchi". La ripeto credo due volte, senza gridare, senza segnali di allarme nella mia voce. Almeno così mi sembra. Ci vanno, sotto i banchi.
E io mi infilo sotto la cattedra. Scopro che la cattedra ha una fessura, dalla quale posso vedere i bambini. Mai notata questa fessura, ma è utile. Mi sembra quella che si vede nei bunker tedeschi sulle coste della Normandia. Ho questa immagine stupida in testa. "Il giorno più lungo": il tedesco da solo che guarda il mare e vede lo sbarco. Io guardo la classe e vedo i bambini accovacciati sotto i banchi. Mi sembrano tranquilli. Dico di fare silenzio perché ho bisogno che tutti mi sentano, dico di restare sotto i banchi perché non sappiamo se ci saranno altre scosse. Loro parlano un po', ma nessuno piange, nessuno si dispera.
Una collega mi chiama dal corridoio per cognome e dice "Il terremoto!"
Deve essere stato buffo lo spettacolo che ha visto: una classe tutta sdraiata a terra e una maestra invisibile (o una cattedra parlante).
Sotto la cattedra ho avuto paura. La paura della mia responsabilità: se viene una scossa più forte, se questa scuola, che ha più di cento anni e una scarsissima manutenzione, cade a pezzi io devo portare in salvo questi 25 bambini. Sei rampe di scale. Siamo all'ultimo piano. Mio figlio sta in piano terra. Mia madre per fortuna ancora a casa. A casa è meglio che a scuola. Qualsiasi posto è più sicuro della scuola. Se dobbiamo restare ancora qua sotto dico ai bambini di unire i banchi, spostandoli da sotto, così creiamo una testuggine romana, dei corridoi dove si può passare. Un'altra immagine stupida. Da Asterix, questa volta penso ad Asterix: la testuggine di legionari con i loro scudi azzurri. I banchi come scudi. Vedo che la collega (è alta) è mezza fuori dal banchetto sotto al quale si è messa assieme a un bambino. Sembra un gattino accovacciato. Un gattino che vuole giocare a nascondino ma non sa di essere visto.  Penso che c'è un'altra cattedra nella classe, che lei dovrebbe stare sotto l'altra cattedra. Chiedo ai bambini di fare silenzio. Ma non grido. Non hanno capito, non sanno se è un'esercitazione o c'è qualche cosa che non va. Veramente.
Suona il campanello in quel modo che significa "uscite di scuola". 
In fila, in fila, andate in fila. Attaccatevi alla spalla del compagno. Mi ricordo il registro rosso. Non so perché ma guardo anche il registro verde, quello personale. Ma poi penso chissenefrega del registro dei voti, aperto per le interrogazioni di storia. Prendo la borsa: c'è il telefono.
Si mettono in fila ma lei, lei che viene da l'Aquila, si prende la giacca. Forse lei sa che può essere che esci e non sai se torni. Non le dico nulla. Le procedure dicono "non prendere niente". Ma penso che lei può prendere la sua giacca. So che lui ha male al ginocchio, so che lui fa le scale pianissimo. Lui si mette sempre ultimo. E resta sempre in fondo. Questa volta no, ci sono altri bambini dietro di lui che lo stimolano ad andare giù per le scale. E scende al ritmo degli altri. Un po' zoppica ma va. Per fortuna.
Sei rampe di scale piene di bambini. Siamo 500 a scuola, su tre scalinate. Sotto di me forse ci sono 150 bambini. Sono rumorosi ma scendono.
Arriviamo in cortile. Guardiamo le facce delle colleghe. Quelle del piano terra pensano davvero che si tratti di un'esercitazione o lo dicono solo per non spaventare i bambini di prima?
La mia collega ha le gambe molli: lei viene dal Friuli.
Passa il Preside. Possiamo rientrare. Il responsabile della sicurezza ha sentito i vigili: il terremoto non è qui da noi.
Non ho voglia di riportarli dentro. Ho sul fondo, come un retrogusto, questa idea della scuola come luogo non sicuro. Ma sono entrati già tutti, siamo gli ultimi. Faccio un discorsetto lì fuori sotto gli alberi. Spiego che in queste situazioni bisogna essere molto seri e svegli, pronti ad ascoltare quello che dice la maestra.
Torniamo su. Le due bambine si mettono in posizione alla lavagna per l'interrogazione di storia. 
Mi fa venire la nausea questa routine scolastica. Guardo la collega, che cosa ci importa delle interrogazioni di storia? Parliamo un po' di quello che è successo? E' il nostro primo terremoto a scuola!
Decidiamo di parlare un po'. E' meglio tirare fuori le paure, penso, anche se piccole. Abituarsi a parlarne. La maestra racconta del terremoto del Friuli, del corridoio che si muoveva, del papà che l'aveva svegliata; la bambina racconta del terremoto de l'Aquila, del papà che l'ha presa in braccio, del trovarsi tutti in macchina in pigiama, della casa crollata, del papà che piange davanti alla TV rotta, del trasloco da Sud a Nord. E' allegra, quasi divertita. "Mi è crollata la casa!" dice, e intanto alza le spalle. Un'altra bambina racconta di una tromba d'aria in campeggio, di come si sono rifugiati nei bagni, dell'albero caduto sulla tenda (vuota) dei cuginetti. Qualcuno chiede quando facciamo le interrogazioni di storia. Una bambina mi viene a dire che lei vuole essere interrogata oggi. Suona il campanello e ci guardiamo un attimo per decidere se è un campanello normale oppure no. Sì, è il campanello della ricreazione.
Si gioca, si mangia. Risuona il campanello.
E poi si fanno le interrogazioni di storia. Più insicuri di prima.
Attorno alle 13 la scuola trema un'altra volta, ma è l'ora dell'uscita per alcuni, della mensa per altri, solo qualche maestra l'ha sentito.

venerdì 25 maggio 2012

Ancora sul valore del tempo


Ho già scritto in questo blog del sistema che ho usato in questi anni per appassionare i bambini della mia classe alla lettura (Un metodo sicuro per far leggere i bambini). Pensavo oramai di aver innescato la scintilla di un fuoco che non si sarebbe più spento e da qualche mese avevo lasciato da parte le attività di lettura, convinta che tutti continuassero a leggere per conto proprio. Ero confortata in questa convinzione dal fatto che vedevo circolare dei libri in classe e che qualcuno continuava a chiedermi quando avremmo fatto di nuovo "le pubblicità dei libri". 
Sono rimasta quindi molto stupita quando, durante un colloquio, la mamma di uno di quelli che consideravo un grande lettore (suo il record di lettura: tutti i tre volumi della saga di Narnia letti in poco più di un mese!) mi ha detto che è preoccupata perché suo figlio non vuole più leggere nulla che non sia Topolino.
Questa rivelazione, assieme a qualche rapido sondaggio in classe dal quale è emerso che ci sono bambini che "in questo momento" non stanno leggendo nessun libro, mi ha fatto capire il mio errore: se pensi che sia importante dedicare del tempo a una cosa devi far vedere che tu per primo lo dedichi.
Da quando ho cominciato a dedicare meno tempo alle attività di lettura a scuola, loro ne dedicano meno anche a casa. E non è un fatto di compiti, non davo per compito da leggere un libro di lettura, era un'attività spontanea e volontaria, libera nella scelta dei testi e del tempo impiegato per leggerli, semplicemente prima in classe ci raccontavamo che cosa avevamo letto a casa, poi abbiamo smesso. Avevo deciso di dedicare del tempo ad altre attività.

Mancano pochi giorni alla fine della scuola, io ho praticamente finito con i programmi che avevo previsto di fare nelle diverse materie e mi mancano ancora pochissime prove di valutazione. Siamo in quinta e sono quindi gli ultimi giorni per loro nel rassicurante ambiente della scuola elementare, volevo che provassero anche un brivido di libertà prima di andare via. Ho chiesto quindi di indicarmi alcune lezioni o attività che avrebbero voluto svolgere negli ultimi giorni di scuola. Moltissimi mi hanno chiesto di leggere! Di ascoltare la mia lettura ad alta voce di "Cuore di eroe" di Piumini (rielaborazione dell'Eneide), di portare i loro libri e stare a leggere in silenzio.
Mi hanno chiesto di dedicare, nuovamente, del tempo alla lettura.
Loro sanno che leggere è importante e che se una cosa è importante bisogna trovare del tempo da dedicarle!

mercoledì 23 maggio 2012

Il valore del tempo


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Credo che una delle cose che dobbiamo insegnare è a non avere fretta. 
Qualche tempo fa siamo andati a seguire un laboratorio artistico presso un importante museo d'arte della città. La guida ha diviso i bambini in due gruppi, ha spiegato in due minuti che cosa dovevano fare, ha dato cartoncini, colori, fotocopie, forbici e colla. I miei bambini si sono messi a discutere su dove avrebbero dovuto disegnare la montagna, su che cosa mettere in primo piano, che cosa sullo sfondo, sulla tonalità di verde da usare. Dopo 10 minuti non avevano ancora cominciato: stavano ancora progettando. La guida ha cominciato a dire che avevano a disposizione ancora 5 minuti di tempo per finire il lavoro. 
Abbiamo parlato con la guida e ci ha raccontato che di solito i bambini tagliano, appiccicano e colorano un po' a caso e che dopo 10 muniti hanno già finito, questi erano i primi bambini che vedeva lavorare così. Ho chiesto di modificare in parte il programma della giornata per dare un po' più di tempo a questa attività, in modo che potessero finire il lavoro e avere soddisfazione dall'averlo terminato, e abbiamo trovato un accordo su come organizzarci.
Non avevo mai capito in maniera così evidente quanto ho insegnato alla mia classe a progettare. Vedere i miei alunni lavorare in un contesto esterno senza la mia guida è stato come vedere un risultato del mio lavoro da fuori. Sì, hanno imparato a progettare, meglio: sentono spontaneamente la necessità di progettare, di ragionare su un lavoro prima di cominciarlo.
Adesso che ne sono consapevole ho rincarato la dose sull'importanza e la cura da dedicare al progetto. Imparare a progettare significa imparare a ragionare, a scegliere tra diverse possibilità, a correggersi e valutarsi con sguardo obiettivo. Se sai progettare farai un disegno più curato, scriverai un testo più coerente, preparerai una ricerca con maggiore cura... magari ti farai anche la valigia in modo più organizzato. 

Per insegnare a progettare bisogna non avere fretta di avere in mano il prodotto.
In questo periodo stiamo facendo un lavoro ispirato a Kandinskij. Non avere fretta di avere in mano il prodotto significa che non ho dato qualche fotocopia di qualche quadro di Kandinskij chiedendo di fare una copia. Ho detto invece di osservare i quadri, nei libri che ho portato e nelle fotocopie, di osservare prima le forme e le linee e poi i colori; di prendere un foglio di brutta copia e fare tre o quattro progetti personali ispirati ai quadri visti solo a matita, poi scegliere quello che si ritiene il migliore e fare delle prove colore con le matite colorate. 
Per questa attività abbiamo usato due ore, quindi le ore di arte di una settimana. Per casa dovevano finire di colorare. La settimana dopo sono arrivati in classe disegni bellissimi e curatissimi... ed erano solo i progetti! Abbiamo discusso su quali modifiche si potevano fare per i quadretti da realizzare, quindi hanno preso i fogli da disegno, hanno riportato il disegno a matita, valutato il suo funzionamento, e iniziato a colorare con pennelli e tempere. In tutto ci vorranno almeno tre settimane per questa attività, per i disegni più complicati da dipingere anche quattro settimane. 
Non è tempo perso, è del tempo per capire quanto valore in più porta il tempo impiegato all'attività che stiamo facendo. 

domenica 20 maggio 2012

Senza parole

Mi sembra che ieri con le bombe fuori dalla scuola di Brindisi si sia toccato il fondo. Mi è difficile trovare qualche cosa di interessante da dire.
In questo articolo ho trovato alcune delle cose che mi sono trovata a pensare.

lunedì 14 maggio 2012

Prove Invalsi: le testimonianze, la logica, lo stomaco

Come sempre gli artisti della comicità colgono nel segno, ascoltate questo:
Greg e Lillo
Argomentazioni a sostegno dei ragionevoli dubbi sull'anonimato delle prove le trovate qui:
Invalsi anonimi?
Questo lo sfogo di un genitore:
mamma di bambino testato
Moltissime informazioni sull'Invalsi e sulle proteste le trovate sul sito di
rete scuole

Di seguito le mie opinioni e la mia esperienza.
La scorsa settimana anche nella mia classe sono state fatte le prove Invalsi. Il caso ha voluto che io avessi l'orario pomeridiano in tutte e due le giornate di somministrazione. Quindi non ho potuto aderire allo sciopero del 9 contro le prove perché la mia adesione sarebbe stata al di fuori dell'orario della somministrazione, quindi inutile.
Visto che il collegio docenti della mia scuola, non si sa più quanti anni fa e senza alcun dibattito, non ha espresso parere contrario alle prove Invalsi, nella mia scuola e nella mia classe le prove si fanno. Visto che le prove si fanno ho voluto esercitare i miei alunni a queste prove. Ho sostenuto la necessità di questa esercitazione anche in consiglio di interclasse contro il parere contrario di una rappresentante dei genitori di un'altra classe. Ho addirittura proposto ai genitori di comprare il libretto per le esercitazioni ai test, che abbiamo  terminato prima della somministrazione delle prove.
La mia posizione è quindi questa: ritengo che sia necessaria una valutazione delle scuole, dei docenti e della didattica, perché credo che la nostra società non possa permettersi il lusso di avere un sistema scolastico dove a volte ci sono persone che non solo non insegnano ma provocano danni permanenti su questioni fondamentali di base, quale ad esempio stimolare la curiosità e il desiderio di conoscere, apprendere, approfondire. Credo troppo nelle possibilità sociali, educative e didattiche della scuola per non rendermi conto del fatto che come a scuola si possono fare grandi cose si possono fare anche grandi danni. La valutazione dovrebbe avere quindi come obiettivo quello di eliminare o ridurre questi danni. I test Invalsi hanno invece lo scopo, come dichiarato più volte, di stilare delle classifiche di merito che dovranno servire in un futuro per l'assegnazione dei fondi. L'idea che sottende i test Invalsi è quella di assegnare i fondi non come incentivo al miglioramento della didattica nelle situazioni di maggiore difficoltà, ma come premio nei contesti virtuosi. Questo sistema concorrenziale non è adatto alla scuola pubblica, il cui scopo dovrebbe essere quello di garantire a tutti i propri studenti un alto livello di formazione.
Credo che una valutazione del sistema scolastico finalizzata al suo miglioramento dovrebbe necessariamente essere non la fotografia di un dato momento, ma la misurazione della differenza tra un momento di partenza e un momento successivo. L'azione didattica si misura, cioè, andando a vedere la differenza tra il punto di partenza e il punto di arrivo riguardo alle stesse domande. Questa è una banalità conosciuta a qualsiasi formatore: quello che si fa per vedere e dimostrare che il proprio corso di formazione sull'argomento x ha funzionato è fare un test d'ingresso e un test d'uscita sullo stesso argomento. Si può fare per una lezione di 2 ore nella quale si vuole che una classe di dipendenti pubblici impari a scrivere un avviso al pubblico efficace e si può fare in un corso universitario di 60 ore. L'unica vera misurazione dell'efficacia didattica è la misurazione di una differenza, cosa che l'Invalsi non fa.
Ancora non mi piace dell'Invalsi il fatto che è costruito quasi interamente con domande chiuse a scelta multipla. Questo può funzionare per misurare solo alcune competenze ma dimostra tutti i suoi limiti in attività quali la comprensione del testo scritto o anche la riflessione linguistica fatta a livelli più avanzati. Ho abituato i miei ragazzi a pensare in maniera molto articolata, sia sui testi che sulla lingua, e nelle risposte ai test non trovano la possibilità di portare avanti questi ragionamenti.
Per i bambini testati l'Invalsi è fonte di stress ed è un sistema che dimostra la sua inadeguatezza in maniera crescente con i calare dell'età dello studente. Con i bambini piccoli una valutazione individuale e ragionata è assolutamente prioritaria. E' inoltre irrispettoso nei confronti dei bambini con difficoltà di apprendimento. Nella mia classe abbiamo segnalato un caso di DSA con certificazione e non abbiamo avuto nessuna indicazione differenziata per la somministrazione della prova a questa bambina. La madre saggiamente ha tenuto la bambina a casa i giorni delle prove.
Trovo poi detestabile il metodo poliziesco che viene intimato ai somministratori delle prove. L'insegnante e il somministratore vengono trattati malissimo in tutto ciò che ha a che fare con l'Invalsi. Innanzitutto l'insegnante viene informato meno di tutti: le segreterie ricevono istruzioni, i genitori lettere, segreterie genitori alunni compilano questionari e gli insegnanti no. Non viene mai chiesta la loro opinione sul contesto lavorativo nel quale si trovano. L'Invalsi vuole insegnanti muti e con i quali comunica poco. Comunica poco perché non ha nessun titolo per richiedere la loro collaborazione e, evidentemente, non è interessato a sapere nulla di loro. Spiega poco o nulla, in maniera molto confusa, caotica, ritardataria e spesso con errori, imprecisioni, ed errata corrige, quello che "dovrebbero" fare gli insegnanti in fase di tabulazione dei dati. Non si sa perché gli insegnanti dovrebbero tabulare i dati, in quale orario e se come lavoro retribuito o non retribuito. In molti casi i risultati di questi nostri sforzi non verranno neppure analizzati dall'Invalsi, che farà le sue statistiche solo sui dati delle classi campione (sembra che siano un decimo del totale).
Penso tutto questo dell'Invalsi eppure ho preparato tenacemente, anche attraversando polemiche e discussioni, i miei studenti ad affrontarlo. 
Questo perché considero questo sistema di valutazione come una delle sfighe inevitabili della loro vita futura. So che si troveranno più volte ad essere valutati in maniere improprie attraverso delle crocette messe su dei test dalla logica spesso discutibile, a volte contenenti veri e propri errori. Ho voluto che questa "sfiga della vita" non li cogliesse impreparati. 
Qualche mese fa abbiamo preso il nostro libretto con 5 prove e abbiamo iniziato un allenamento e una discussione su come queste prove sono costruite, su quale è la logica della risposta multipla e su come si fa a trovare una risposta accettabile anche se la risposta giusta non c'è. Una volta sviscerata la logica hanno provato a fare i test da soli e abbiamo discusso i risultati a posteriori. I ragazzi hanno partecipato volentieri a questi ragionamenti e io ho avuto la soddisfazione di aver dato uno strumento per affrontare una ingiusta difficoltà che troveranno nel loro futuro.
Ho anche provato a trasformare i risultati in punteggio (del quale non terrò conto nelle medie) per vedere se erano congruenti con le mie valutazioni. Ho estrapolato le valutazioni per 2 prove e mi è risultata una sola insufficienza (la bambina con DSA era assente), i voti che sono emersi sono meno articolati dei miei, cioè più schiacciati dal 7 al 9, mentre le mie valutazioni comprendono tutti i voti dal 5 al 10.
Trovo che sia ingiusto chiedermi di usare delle ore gratuite extra orario o delle ore destinate alla programmazione per farmi correggere le prove Invalsi, alla cui somministrazione non ero presente. Sono tentata di non correggerle, e in effetti sono nell'ufficio del Preside da mercoledì e non le ho ancora corrette.
Se penso al fatto che i miei studenti hanno lavorato per quelle prove, allora penso che dovremmo correggerle e discuterle assieme, come tutti gli esercizi e le valutazioni che facciamo. Dovrei allora correggerle e riportare in classe i test, in modo tale che ciascuno possa ragionare sulle cause dei propri errori. Non ho ancora deciso che cosa farò.
So però che oggi pomeriggio, al Collegio docenti unitario, chiederò che si parli di queste prove, della teoria che c'è dietro, degli scopi che hanno e del ruolo di noi insegnanti. 
Vorrei che quando un Collegio docenti approva la partecipazione all'Invalsi sapesse che cosa sta approvando, vorrei che quando ci troviamo a fare da somministratori e/o da correttori, fossimo consapevoli di che cosa stiamo facendo e perché. 
Vorrei arrivare alle prossime prove, per me tra due anni, più consapevole e preparata. 
Magari la prossima volta riuscirò a non farmi venire la gastrite

mercoledì 9 maggio 2012

Com'è difficile la serata dell' insegnante

Non so se è per via della pasta al pesto annegata nell'olio della mensa o per tutti i problemi che abbiamo avuto con le prove invalsi, ma questa sera ho lo stomaco a pezzi!
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lunedì 7 maggio 2012

Un dono inatteso

Sono giorni che vedo con la coda dell'occhio che traffica con carta, forbici e scotch, e siccome ho sempre paura di contrariarlo, perché non so se poi esploderà di rabbia o magari si chiuderà offeso in se stesso, faccio finta di nulla. Mi basta che ascolti e che non distragga gli altri compagni. Oggi è rimasto fino alle 17, assieme ad altri sei compagni, per le lezioni di recupero sull'ortografia. Quando finisce la sua lunga giornata di nove ore di scuola, mi porta la sua creazione: "Maestra, è per te!" E' un porta penna da tavolo a forma di albero con la faccia. 
Mi fa molto piacere. 
I bambini complicati trovano sempre un modo per dire "grazie".

venerdì 4 maggio 2012

Un aiuto dall'alto

Oggi alle 8 abbiamo trovato le classi sporche, erano stati solo svuotati i cestini. Rapido giro di opinioni nei corridoi e c'è chi racconta che una signora delle pulizie ha detto che per mancanza di fondi le classi verranno pulite una volta a settimana. Trovo la cosa inaccettabile: 25 bambini mangiano studiano tagliano colorano giocano, vivono per 40 ore a settimana in queste aule. Per quanto siano ben educati la pulizia una sola volta mi sembra veramente poco. Come sa chi segue questo blog dall'inizio il problema delle pulizie non è affatto nuovo, questo è un ulteriore peggioramento su una situazione già critica. Pensiamo a che cosa si può fare, parliamo con i bidelli, parliamo con una nostra rappresentante sindacale e con la responsabile del plesso. 
Nel frattempo la mia collega porta la classe in cortile per un'attività. Io torno in classe pensando a possibili soluzioni e, nell'aula vuota, vedo questo:


Gesù si offre gentilmente di darci una mano a pulire i pavimenti, ma non ce la fa: è inchiodato al muro.
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giovedì 3 maggio 2012

Come interrogare tutta la classe in due ore senza diventare matti

Come ho già scritto (vd. Una questione di metodo) per un lungo periodo abbiamo fatto verifiche di storia scritte e con domande aperte. Volevo che imparassero a ragionare e a scrivere le loro risposte avendo spazio e tempo a disposizione. Poi abbiamo fatto i nostri convegni (vd. Comitato scientifico al lavoro) nei quali hanno imparato a fare una ricerca e a esporla oralmente.
Poi ho pensato che dovevo anche prepararli ad essere interrogati. Ma come fare quando sono così piccoli? Se interroghi uno gli altri 24 si annoiano orrendamente e iniziano a disturbare. Riempirli di schede? Volevo che imparassero anche osservando le interrogazioni degli altri. Come fare a non annoiarmi a sentirmi dire decine di volte le stesse cose?
Ho inventato il sistema che ora vi descrivo. 
Faccio un pezzo di programma (se volete chiamatelo modulo o unità didattica) che risulti abbastanza completo in sé; nel periodo in cui leggiamo assieme e spiego chiedo sempre di fare per casa schemi o riassunti della lezione spiegata, in modo tale che non sia possibile lasciare tutto da studiare all'ultimo, poi fisso una data per le interrogazioni. Avviso delle interrogazioni sempre circa una decina di giorni prima. Il mio obiettivo è che imparino a studiare un discorso organico e complesso in un arco di tempo, credo che non avrebbe senso chiedere oggi i 7 colli e tra una settimana i 7 re di Roma: bisogna avere una certa quantità di informazioni per fare ragionamenti e collegamenti sensati. Quindi chiedo di studiare parecchia roba, ma do anche parecchio tempo per farlo.
A casa mi preparo un elenco di molte domande sull'argomento, domande che diano sempre la possibilità di rispondere brevemente oppure di allargare il discorso e articolarlo in modo più complesso, in modo da essere adatte sia per i bambini più in difficoltà che per quelli più brillanti. Ad esempio in una domanda cerco di non chiedere solo il nome di una città o una data (ci sono alcune domande che noi chiamiamo "domande stupide"...).
Il giorno dell'interrogazione prevedo due ore circa, nelle quali riesco ad interrogare 25 bambini. 
Funziona così: in una scatola ho 25 bigliettini con i nomi dei bambini, in un'altra scatola ho le mie domande tagliate a striscioline e piegate. Pesco i nomi dei bambini: 2 vengono alla lavagna e 2 si siedono nel primo banco, i 2 alla lavagna sono interrogati e quelli in primo banco fanno da "controllori" di quanto stanno dicendo gli interrogati. Ogni interrogato pesca due o tre domande (tre nei casi di sufficienza stiracchiata). Le domande si pescano, si leggono e si ha un tempo per pensare a come rispondere in modo sensato. Questo perché devono ancora esercitarsi molto per riuscire a mettere assieme la memoria di quanto studiato con la pianificazione e l'organizzazione di un testo orale ben organizzato. Anche "essere interrogati" è un lavoro che si può imparare, scomponendo le varie difficoltà che implica e dando a ciascuna il suo tempo per essere gestita.
Chi ha finito l'interrogazione va al posto e può fare il "notaio" guardando dal libro, se sente qualche inesattezza può alzare la mano. I controllori diventano i successivi interrogati e vengono quindi chiamati altri due controllori. 
Per ora funziona: riescono a stare tutti molto attenti, sia quelli che devono ancora essere interrogati, perché sperano che le domande finiscano e che poi vengano rimescolate e ripescate quando tocca a loro, sia quelli che hanno già fatto l'interrogazione, che cercano di capire se i compagni stanno sbagliando. E' diventato quasi un gioco.
Ho solo un problema: quelli che non vogliono parlare. C'è un piccolo gruppetto di bambini e bambine che è troppo imbarazzato dal fatto di venire alla lavagna ed essere messo sotto i riflettori. Cerco di farli parlare anche dal posto (spesso sono ottimi "controllori" e ottimi "notai"), ma a volte non basta. 

Mi chiedo: quanti, nel loro futuro scolastico, sapranno distinguere tra quello che non sanno perché non hanno studiato e quello che sanno ma non sanno esprimere o quello che sanno ma hanno paura di dire?