lunedì 5 novembre 2012

Discorsi in gita

La cosa più bella delle gite è che puoi ascoltarli mentre parlano e loro non se ne accorgono.

Lui 1 - Che cosa vuoi fare da grande?
Lui 2- Guidare una Ferrari!
Lui 1- ...
[si chiede se "guidare una Ferrari" si può considerare un lavoro?]

Lei - Lo sai? Io quando ero in asilo conoscevo una bambina Giovanna che era marrone come noi!
Lui - Davvero?!?

In mensa

- Maeftra, pecché no 'diamo in cottile?
- Perché ho molto raffreddore e non voglio prendere freddo
- Ache io ieri a'vo la toffe... cofì: choff choff choff!
Dice tossendo nel mio piatto di pasta al ragù

mercoledì 24 ottobre 2012

In tema di D



Sono al lavoro per il "libro per il grande editore", cerco esercizi da fare sulla discriminazione dei suoni simili D e T. In un bellissimo abbecedario trovo un bellissimo testo, che nessun editore scolastico mi lascerebbe pubblicare e quindi mi sfogo copiandovelo qui sotto:

"La lettera D era una ragazza molto carina e socievole e, soprattutto, molto consapevole della grande responsabilità che aveva nel dare l'iniziale a una parola importantissima: Democrazia. Per questo non sopportava tutti quelli che usavano il suo suono a vanvera e in particolare odiava quegli stupidi razzisti che la sostituivano alla sua amica T quando volevano ironizzare sull'italiano parlato dagli immigrati africani.
Era stufa di "tutti" che diventava "duddi", di "tanti" che diventava "dandi" e così via. Fu per questo che, giusta ritorsione, la lettera D ritirò la sua presenza da tutte le parole più amate da questi sciocchi individui: Direttore, Dirigente, Demiurgo, Dittatore e finanche dalla Destra la quale, diventata Estra, cadde, per nostra fortuna, in una profonda e irreversibile crisi di indentità". (Sergio Staino)

Dopo aver Digerito il panDoro Della colazione vaDo a farmi una Doccia e Dopo presto al lavoro. Per fortuna questa notte ho Dormito.
A Dopo!
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martedì 23 ottobre 2012

Nuovi animali

- Maestra oggi mi fa male la guancia, qui da questa parte
- Perché?
- Ieri mi ha morso una zanzara leone!

lunedì 22 ottobre 2012

Una corsa

E' un po' che non mi porta disegni. Poi qualche giorno fa arriva con una grande persona disegnata sul foglio con una coloratissimo mantello dietro.
- E' per te
- Grazie
- Questa sei tu
- E che cosa faccio?
- Hai vinto
- Che cosa ho vinto?
- Una gara di corsa.

In questi giorni non ho scritto molto, questo accade per molti motivi. Uno è lo stato psicologico negativo nel quale mi trovo. Rispetto alla situazione iniziale di contatto con la classe, della quale vi ho già detto, le cose sono lentamente migliorate. Si riesce, per qualche mezz'ora, anche a fare lezione; si riesce, per una decina di minuti, anche a farli lavorare tranquilli e concentrati al posto. Ma quello che accade più spesso è ancora che non ascoltano, parlano tra loro da una parte all'altra della classe, si alzano, fanno domande in 10 alla volta, litigano, si spingono, si buttano a terra. Allora noi ci arrabbiamo, li riprendiamo, alziamo la voce, minacciamo punizioni, chiamiamo i genitori, facciamo colloqui, facciamo discorsi e promesse di cambiamento. 
Allora io, che avrei voluto essere un'insegnante democratica e non-violenta, e che ogni volta ci riprovo, mi sento letteralmente uno schifo. Mi faccio schifo: quella persona che grida e si arrabbia non sono io, quella persona che perde il controllo non sono io. Poi un po' mi perdono perché capisco che quella persona lotta solo per farsi ascoltare e fare il suo mestiere. Intanto magari, presa da questi pensieri, la notte dormo solo 3 ore perché ho passato il tempo a chiedermi come si fa, come si può fare, come si esce da questo meccanismo senza rinunciare al proprio modo di essere. 
Sto cercando di documentarmi, di chiedere a colleghi esperti, ma non ho ancora trovato risposte soddisfacenti.

Intanto fuori dalla scuola c'è un altro mondo che mi chiama: un corso di formazione per 100 docenti, un contratto di docenza all'università per 150 futuri maestri, un libro per la prima elementare con un'importante casa editrice.

Lei, ancora una volta vede: sono nel bel mezzo di una corsa, una lunga sfinente maratona. Non so se riuscirò a correrla tutta, se inciamperò, se mi ritirerò e se poi alla fine ci sarà un premio.  Lei crede di sì.



mercoledì 17 ottobre 2012

Cappuccetto Rosso si arrabbia

Qualche giorno fa chiedo cortesemente a qualcuno del personale di bidelleria di sorvegliare la classe per permettermi di andare al bagno. Al terzo no, ho preso il malcapitato di turno e ho detto: "Io mi arrabbierò. Mi arrabbierò e scriverò".

Mi sono arrabbiata ed ho scritto, ma non per poter andare in bagno, perché è bastato vedermi sull'orlo dell'arrabbiatura (e della cistite!) per ottenere maggiore collaborazione, mi sono arrabbiata invece per questa ulteriore umiliazione letta su Repubblica online questa mattina:
Ho scritto per rispondere alla falsità scritta nell'articolo (potete leggere tra i commenti anche il mio): il titolo di accesso alla scuola elementare non è attualmente il diploma di scuola superiore! Ci vuole la laurea da anni! E in ogni caso di maestre abilitate con la maturità ma comunque laureate ce ne sono molte!
Sono anni che ci penso, ma è il momento di dirlo: non sono i prof a dover fare 24 ore come noi, siamo noi a dover fare 18 ore come loro. 18 ore di classe alle quali si sommano le ore di scuola in cui non abbiamo i ragazzi ma progettiamo, organizziamo, prepariamo, incontriamo, discutiamo e le ore a casa nelle quali studiamo, prepariamo, correggiamo (anche la domenica!). Tutto questo si chiama adesso "funzione docente" e non è quantificato dal punto di vista orario. 
Sarebbe l'ora di trovare un modo intelligente di quantificare e riconoscere il lavoro fuori classe dei docenti, è strettamente legato alla qualità del lavoro in classe. Ma a chi interessa la qualità del lavoro in classe?

Scrivete le vostre esperienze sulla pagina pubblica che ho creato:
E' ora di raccontare agli altri che cosa è il nostro lavoro! E se siete genitori è ora di chiedere che la formazione dei vostri figli sia riconosciuta come una professione importante!

mercoledì 3 ottobre 2012

Facciamo?



Facciamo che io ero grande e mi avevano chiesto di andare a spiegare a un sacco di insegnanti come insegnare grammatica. Facciamo che dovevo fare un viaggio di qualche centinaia di chilometri per arrivare in una città bellissima che non avevo mai visto. Facciamo che loro mi pagavano il viaggio e l'albergo e mi pagavano anche bene la lezione.
Facciamo che poi la mattina mi trovavo in un grande teatro dove c'erano cento persone venute da diversi posti per sentire me. Facciamo che io ero emozionata ma contenta e che avevo davvero molte cose da dire. Facciamo che avevo avuto una bellissima idea per cominciare e allora loro mi ascoltavano interessatissimi, e poi facevano domande intelligenti ed erano soddisfatti delle risposte. Poi facciamo anche che nella pausa e alla fine della lezione venivano a farmi altre domande e complimenti e chiedevano consigli. Poi facciamo anche che alla fine restavano più dell'orario e mi facevano un bellissimo applauso. E poi e poi e poi facciamo anche che veniva una signora a chiedermi se potevo andare a fare la stessa lezione in un'altra città, perché le era piaciuta tanto e voleva proporla ad altri insegnanti.
- Eh, ma adesso stai esagerando!
Ma dai, facciamo così! E' un gioco, è solo un gioco. Facciamo che io ero una maestra ma avevo studiato molto e avevo scritto dei libri e quindi andavo a raccontare ad altre maestre quello che avevo studiato e quello che avevo scoperto lavorando con i bambini.
- E va bene, ma poi se sicura che non vuoi giocare sempre a questo gioco?
Ma dai facciamo ancora questa volta! Allora io ero in questa bellissima città e tutto era andato molto bene e poi in questa bellissima città dovevo tornare ancora una volta a finire le mie lezioni e tutti erano contenti di farmi tornare. E allora poi quando avevo finito di fare la lezione ero libera per qualche ora, e anche se ero molto stanca e avevo un sacco di mal di testa ero contenta del lavoro che avevo fatto. Poi giravo per questa città e in un piccolo negozietto in una vetrina trovavo un braccialetto dove c'era la mia storia: c'ero io, il lupo e i fiori, tutti i fiori che ho raccolto nel bosco...

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lunedì 1 ottobre 2012

La nave e la mongolfiera

Arriva con i capelli arruffati e il suo disegno, tutto fatto con il pennarello blu:
- Questa è una nave, è rimasta incagliata sulle secche e non riesce più ad andare avanti. E' per te.
- Grazie...

Giovedì: la solita incredibile fatica per riuscire a farli stare tranquilli ad ascoltare, a non mettersi a chiacchierare o giocare con il compagno, a non chiedere di andare in bagno tutto il tempo... mi sento un cane pastore e vorrei essere un polipo, ma un polipo con anche molti occhi molte orecchie molte bocche. Un mostro con braccia occhi orecchie per tutti, per tutti i miei 25 alunni. Si alzano e vengono a chiedere qualche cosa in 5 o 6 alla volta, vogliono sapere, fare, raccontare, chiedono aiuto o vogliono essere ascoltati perché si lamentano. Intanto dal posto altri chiedono altre cose, o aspettano pazientemente che la maestra-mostro arrivi anche da loro, o semplicemente non fanno nulla, niente di niente, finché la maestra-mostro non arriva sul loro banco a ridire, per la decima volta, che cosa bisogna fare.

- Vai avanti con le lettere che ho scritto, vedi? adesso c'è la E, devi fare la E, quella che sembra un pettinino, ti ricordi?
- Sì, ma come si fa? Non so fare, come si fa?
- Si fa così, vedi? prendi bene la matita, ecco, con queste tre dita, no, un po' più in basso, ecco, adesso parti da qui in alto e fai una sediolina, poi chiudi in alto e fai la righetta in mezzo. No, non servono tanto lunghe le righette...
- Così?
- Sì, così, poi la prossima volta cerchiamo di fare le righette più dritte, va bene?
- Sì.

Alzo gli occhi da quel banco e da quel quaderno e attorno c'è naturalmente il disastro: chi è andato in bagno senza chiedere, chi ha preso un puzzle e si è sdraiato a terra in fondo alla classe, chi si è alzato per andare a dire una cosa a un compagno, chi sta litigando, chi chiede di andare in bagno, chi ha aperto un libro senza aver finito di lavorare sul quaderno, chi non ha ancora cominciato a scrivere.
La maestra ritorna a fare il cane pastore: 
- Tornaaate al posto! Sì puoi andare in bagno. Perché non hai ancora cominciato a scrivere? Metti via il libro, stiamo lavorando sul quaderno. Non è il momento del riposo, metti via il puzzle e torna al posto. Giù le mani voi due, che cosa c'è da litigare? Non hai la matita? Vieni che ti do la mia. Sì se non hai il blu puoi usare l'azzurro. Il fazzoletto lo trovi dietro la cattedra. No adesso non puoi fare un disegno, adesso andiamo avanti con queste parole. No non è ancora ora di pranzo, dobbiamo ancora fare la merenda... 
e abbaia altre decine di frasi per rispondere a tutti e per convincere ciascuno a tonare a lavorare.

La maestra torna alla lavagna:
- Stavamo scrivendo ELEFANTE, adesso dopo questa E che cosa ci vuole?
- FFFFF! FFFF!
- Giusto, F, allora facciamo un bastoncino, poi chiudiamo in alto e poi un'altra righetta
Sono passati due minuti di tregua e poi la maestra ritorna a fare il cane pastore. Così per ore.

Sempre giovedì, la quinta ora vado a fare musica in un'altra classe, una seconda. Mi accoglie con un sorriso lui, il bambino che da un anno terrorizza tutta la scuola.
- Maestra vieni con me!
(mi prende la mano)
- Ti devo dire una cosa che non ti piacerà...
(indica la finestra)
- Guarda: oggi c'è vento e la finestra è anche un po' aperta... è pericoloso per te, potresti volare via se noi facciamo troppa confusione!
- Oh, già, ma starò attenta, non ti preoccupare, e poi voi sarete bravi e non farete troppa confusione, vero?
- Sì!
Questa della mongolfiera è una storia che delle volte racconto quando vado in una classe nuova, dico che sono una maestra un po' strana e proprio non posso stare nella confusione, perché altrimenti la testa mi si gonfia e diventa grande come una mongolfiera e allora rischio di volare via. Il che è vero: davvero non sopporto la confusione e davvero se è troppa ho la tentazione di andarmene. Questa storia mi permette anche di fare delle facce buffe quando il livello dei decibel non è accettabile e sperare che loro così si calmino senza rendere necessaria l'arrabbiatura. A volte funziona. Non avevo mai pensato che qualcuno si sarebbe potuto preoccupare davvero...
Comincio la lezione con lui che mi abbraccia e mi tocca la pancia (chiedo: - Tutto a posto con la mia pancia? risponde di sì) e con l'annuncio dell'imminente arrivo di una bravissima pianista che ci avrebbe spiegato un  sacco di cose sull'opera e su uno spettacolo che avremmo fatto con lei e altri cantanti bravissimi verso la fine dell'anno. La tiro in lungo aspettando che la pianista arrivi e racconto che cose fantastiche faremo. La pianista non arriva, lascio una collega in classe e chiedo a una bidella, vado nell'aula di musica. Niente pianista, e sono già le 12.15. Torno in classe e annuncio che purtroppo la pianista avrà avuto qualche problema, che verrà una prossima volta e che riprendiamo con le attività di musica della settimana precedente.
Il bambino sensibile, come una pentola a pressione, comincia a surriscaldarsi: va in giro per la classe appoggiando conchiglie alle orecchie dei compagni, poi si trascina su tutti i banchi. Poi esplode e comincia gridare:
- C'E' UNA GAL-LI-NA NEL-LO ZAI-NO! C'E' UNA GAL-LI-NA NEL-LO ZAI-NO! C'E' UNA GAL-LI-NA NEL-LO ZAI-NO! C'E' UNA GAL-LI-NA NEL-LO ZAI-NO!
- C'E' UNA CACCA SUL TAVOLO! C'E' UNA CACCA SUL TAVOLO! C'E' UNA CACCA SUL TAVOLO! C'E' UNA CACCA SUL TAVOLO!
- C'E' UNA MAESTRA ARRABBIATA! C'E' UNA MAESTRA ARRABBIATA! C'E' UNA MAESTRA ARRABBIATA! C'E' UNA MAESTRA ARRABBIATA! C'E' UNA MAESTRA ARRABBIATA!
e qualsiasi altra cosa gli passi per la testa.
Naturalmente provo a convincerlo che noi vogliamo fare lezione di musica, lui risponde che a lui non interessa, che lui non vuole fare lezione di musica e continua a gridare.
Io sposto il suo compagno di banco in un luogo acusticamente più accettabile e dico ai compagni che avremmo fatto lezione comunque con il nostro lavoro sul ritmo, però ciascuno sul suo quaderno. All'inizio loro ridono di quello che grida il compagno, poi cominciano ad isolarsi e a lavorare ciascuno al suo compito.
Dopo non so quanto tempo nel quale ho fatto lezione cercando di far sentire la mia voce sopra questa colonna sonora di non sense, lui, disegnando dinosauri, comincia a calmarsi e non grida più.
Poi si alza, tranquillissimo:
- Guarda, questo è un drago
- Molto bello, che drago è?
- E' un drago americano, anzi adesso gli faccio la bandiera
- Va bene, vuoi che ti mostro come è fatta la bandiera americana?
- No
(comincia a fare una stella nel centro di una bandiera sulla schiena del drago)
- Vuoi che ti mostro come si fa una stella precisa con un sistema facile?
- No, io la faccio così, a me va bene così.
E' ora di fare lo zaino e lo aiuto a sistemarsi la giacca e lo zaino, gli altri sono fuori in corridoio che si stanno preparando:
- Ma poi non sei volata fuori dalla finestra davvero
- No, hai visto? Era solo uno scherzo, lo hai capito...
- Sì, sono quegli scherzi che fanno le maestre simpatiche
- Ah, io che maestra sono?
- Simpatica
- Allora facciamo la pace e la prossima volta mi aiuti a fare la lezione di musica?
- Sì. Però io delle volte non riesco a controllarmi.

Io il più delle volte mi controllo. 
Poi arriva un giovedì così in cui arrivo a casa e il mio corpo va fuori controllo: lo stomaco e la gola diventano un blocco di cemento attraverso il quale il respiro fa fatica a passare. 
E allora, stesa sul divano cercando di riprendere il controllo di me stessa, sono una nave incagliata che non riesce più ad andare avanti.




mercoledì 26 settembre 2012

La verità del giorno

Sono nel parcheggio della scuola con 10 minuti di anticipo e la verità del giorno è questa: ho fatto un incubo a tema scolastico da raggelare il sangue, ho passato la mattina con la diarrea, ho 7 ore di lavoro davanti e ho quasi finito il maalox.
Buona giornata, perché anche le brutte giornate possono portare delle belle sorprese.
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martedì 25 settembre 2012

Un'ora e mezza

Per fare scrivere a 25 bambini di prima quello che vedete su questa lavagna ci vogliono un'ora e mezza di tempo, molta pazienza e molta voce.
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lunedì 24 settembre 2012

Divieto di urinare



Non vi ho scritto perché vivo un periodo incasinatissimo. Mi ci vuole tempo per immaginare come descrivervi che cosa vuol dire lavorare in una prima di 25 bambini. E voglio raccontarvelo bene. Nella testa ho solo frasi sconnesse e non riesco a farne un discorso. 
Su questo per oggi vi dirò solo che un grossissimo problema è quello della pipì: loro chiedono di andare a farla tutto il tempo, escono dalla classe e vanno non appena mi giro, se va uno vogliono andare altri 10, se non li mandi e li tieni in classe non ti ascoltano. Naturalmente c'è anche la cacca a qualsiasi ora della mattina e del pomeriggio. E naturalmente una volta che vanno hanno la tendenza a non tornare, preferiscono restare in bagno a giocare o chiacchierare. 
Il problema della pipì poi diventa una specie di punizione da girone dantesco perché mentre loro vanno e vengono tutto il tempo io non posso andare in bagno per tutto l'orario di servizio. Non posso perché non posso lasciarli soli un attimo e perché abbiamo pochi bidelli non sempre disponibili a stare due minuti in classe mentre l'insegnante va in bagno.
Dopo 5 ore così ho chiesto di andare nel bagno dell'atrio e i bidelli mi hanno risposto di no perché quello è il loro bagno privato. Dovevo avere la faccia sconvolta, ho sbarrato gli occhi e ho detto: "Vi prego, AIUTIAMOCI!"
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venerdì 14 settembre 2012

Il gigante e la bambina

Lei è piccolissima, ha i capelli lunghi biondi tutti arruffati. Giuro che non è il personaggio di un libro, di un cartone animato o di un fumetto ma è vera e la vedo ogni giorno in classe mia. 
Oggi mi ha regalato un altro disegno, dopo quello del primo giorno dove io ero una regina con lo scettro seduta sul trono.

- Chi è questa persona piccola?
- Questa sei tu!
- Ah, e questo grande grande chi è?
- Questo è un gigante, e tu - indica la bocca del mio ritratto - tu sei terrorizzata
- Ho paura del gigante?
- Sì
- E come faccio a mandarlo via?
- ... ...
- Però tu sei piccola solo perché c'è il gigante, quando il gigante non c'è più tu sei di nuovo grande.

Lei, che scrive il suo nome a malapena e che non sa leggere una frase, mi legge dentro come fossi trasparente: la sicurezza del mio primo giorno, l'infinita disarmata stanchezza del mio oggi pomeriggio.

giovedì 13 settembre 2012

Questioni di logica

- Non dare fastidio ai compagni quando siete in fila...
- Io adesso posso dire le parolacce perché sono grande! Adesso sono grande, vero?
- Sì sei grande e quindi adesso puoi essere gentile con i compagni. E' questo che fanno i grandi: sono gentili con i compagni.
- ??

mercoledì 12 settembre 2012

Per cominciare



Primo giorno della prima.
Ho ricevuto un cuore, per ricordare quanto abbiamo costruito e quanto ancora possiamo dare
mi ha sorpreso un forte abbraccio e trovare sulla mia pancia un testolina piena di treccine
mi ha commosso un "ti voglio bene" dopo solo due ore da quando ci siamo incontrate
mi ha fatto felice il piccolo disegno di una faccina allegra, dopo tanti omini arrabbiati
mi ha meravigliato vedermi disegnare come la regina dei folletti
mi ha stupito metterci così poco a far ridere chi piangeva.

Buon anno a chi si mette le dita nel naso, a chi non sa star seduto, a chi proprio non può aspettare per parlare, a chi ti chiama maestramaestramaestramaestra come un sirena finché non rispondi, a chi proprio non ha voglia di fare nulla, a chi non vede l'ora di studiare, a chi non sa niente e chi sa già molto, a chi torna in una casa e a chi non sa quale sia casa sua.
Buon anno, che la scuola sia sempre per voi un luogo dove crescere sereni.
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lunedì 3 settembre 2012

Risparmio e fantasia

Si comincia ogni anno così: con lo straccio in mano. Per oggi ho pulito solo la cattedra. Quest'anno sono un po' più attendista (forse un po'meno riposata) e aspetto di vedere se banchi e finestre verranno puliti da qualcuno oppure no. Il bagno insegnanti è ancora inagibile.
Le notizie del giorno sono abbastanza sconvolgenti: abbiamo cambiato vicario del Preside, direttrice dei servizi amministrativi e abbiamo tre nuove colleghe. 
Ora l'elenco di quello che non abbiamo: 
- i programmi, perché il Ministero si è dato tempo fino alla prima metà di ottobre
- i registri, perché una circolare estiva ha decretato il registro on-line, quindi il registro cartaceo non è stato ordinato (e nel frattempo non è stato preparato neppure quello on-line)
- i computer per permettere a 100 docenti di compilare pagelle e registri digitali, perché la circolare estiva non prevede un capitolo spese per questa "smaterializzazione della documentazione scolastica"
- le matite, perché i fondi per comprarle arrivano a dicembre
- le classi, perché sembra che ci verranno assegnate domani
- gli orari per il motivo di cui sopra
- i cestini per le immondizie, e questo non so davvero perché.

Tutto questo mi ricorda un cartone animato che ho visto qualche tempo fa:

Ci vorrà molta, molta, molta fantasia.

venerdì 31 agosto 2012

Pronti per ricominciare?

Ultima settimana di ferie. Già da un po' pensiamo ai nuovi libri da acquistare, al collegio docenti di lunedì, alla classe che avremo, a come sarà il rapporto con le famiglie e con i colleghi.
Ne parlavo questa mattina con un bambino che andrà in IV. Io avrò una prima e lui ha delle chiare opinioni in merito. Le parole che seguono sono state scritte da lui.

"Avete una prima, e siete disperati perché bisognerà ripartire da capo con: "Stai zitto, stai seduto, ascolta" e le solite cose.

Io non sono un insegnante e quindi i modi di farli stare zitti non li so, però vi posso dire gli stereotipi dei bambini.

Questo è il grassone: sempre con una bella e sanissima barretta di cioccolato per merenda (di solito anche i genitori sono grassi).

Inevitabile la bambina timida: sempre con il sorriso imbarazzato con voi ma allegra e simpatica con le amiche.  

Poi c'è la reginetta con l'amica che la segue come un'ombra, più avanti si creerà anche una forma maschile di questo.

E' da ricordare il frignone: con nostalgia di casa, malattie assurde, vittima di prese in giro.

E dopo avanti con il il piccolo bullo (non sempre presente), il cocco della maestra, il sotuttoio, il lento & company.

Per finire una piccola previsione su quello che ci sarà nelle classi successive: in seconda un miglioramento degli stereotipi, in terza si formano i gruppi di amici (con una gerarchia ben precisa), in quarta e quinta situazione uguale alla terza con distaccamento sempre più forte dalla maestra (più accentuato nei maschi)."

Pronti per ricominciare?   


mercoledì 11 luglio 2012

D'estate

Non si può mai star tranquilli. E' tradizionalmente d'estate che si prendono le decisioni sui destini della scuola, guardate questo articolo . Entro luglio e agosto verranno anche definiti i nuovi programmi, si stabiliranno gli organici e le assunzioni (?). A settembre ci si trova tutte le sorprese belle e pronte.

Ma domani parto. Vado in Francia fino a fine mese, spero di respirare un'aria migliore...
Ciao a tutti!

lunedì 9 luglio 2012

Tre regali

Succede a un'insegnante in vacanza di non finire di essere insegnante.
Al terzo giorno di ferie mi telefona la segretaria, quella con la quale, diciamo così, è un po' difficile collaborare, e mi annuncia che darà subito l'ordine per comprare i pannelli per formare delle quinte in aula magna. Una notizia che rincorrevo più o meno da aprile.
Al quarto giorno vado in questo museo e per la prima volta il mio tesserino verde del Ministero della Pubblica istruzione ha un senso: posso pagare l'ingresso ridotto perché sono un'insegnante statale! 
Durante il pomeriggio passeggio in questa via e ricevo una telefonata dall'assistente sociale di una bambina della mia classe. Sono stupita e un po' preoccupata. Invece mi chiama semplicemente per ringraziare me e le colleghe della collaborazione che abbiamo avuto in questi anni. Bello sentirsi dire "grazie" il 5 luglio!

giovedì 28 giugno 2012

La differenza

Succede questo: quando la scuola finisce, e resta solo la burocrazia, arriva una montagna invalicabile di stanchezza. Vuoi solo non fare niente e dormire, ma anche di fare niente e di dormire non hai voglia. 
Durante l'anno giugno è un miraggio: il momento in cui mettere a posto la casa, selezionare i libri e riordinare le librerie, svuotare lo sgabuzzino, fare quelle visite mediche che hai rimandato per mesi. Poi giugno arriva e vorresti non fare neppure questo.

Ho visto al cinema The detachment. Sicuramente non mi ha fatto bene, ma è un film che va visto: tutta la buona volontà e l'impotenza di questo mestiere. Il prof. Barthes confessa una cosa fondamentale: alcuni di noi insegnanti lavorano convinti di poter fare la differenza. E' tutto qui il problema di questo mestiere: l'idea di poter fare qualcosa e l'enorme frustrazione davanti al fallimento. 

Molto spesso mi sono sentita quella responsabilità, la responsabilità di poter fare la differenza nelle vite dei miei alunni. Esserci/ non esserci, guardarli/ non guardarli, ascoltarli/ non ascoltarli, parlare con loro/ non parlare con loro, parlare/ non parlare con i genitori. Ho cercato di fare in modo che a guidare le mie scelte fosse sempre il loro bene, il bene dei miei alunni. Naturalmente ho una mia idea del loro bene, e questo mi ha fatto commettere molti sbagli. 
Qualcuno mi ha detto che si tratta di un delirio di onnipotenza: né io né i miei colleghi possiamo cambiare la vita di nessuno dei nostri allievi, i nostri allievi andranno dietro alle loro famiglie e se le loro famiglie forniscono esempi negativi noi non possiamo fare proprio nulla per sottrarli al loro destino. Se un giorno mi convincessi veramente di questo lascerei questo lavoro. Anzi, trovo addirittura che vivere al mondo con questa convinzione sia intollerabile. La mia idea è che potenzialmente tutti possono fare la differenza.
In una giornata grigia il barista che ti sorride e ti fa una battuta fa la differenza. La mattina andando al lavoro gli operatori ecologici che con un sorriso mi tolgono il sacchetto delle immondizie dalla mano fanno la differenza. Quel signore che da anni incontro mentre vado a scuola e che immagino essere un professore di musica che va in un'altra scuola da un'altra parte della città fa la differenza. Fa la differenza la segretaria che mi chiede come va con il mio stomaco. Fa la differenza il bidello che mi aiuta con le fotocopie. Fanno la differenza le colleghe che collaborano.
Fanno la differenza perché l'altra strada, quella dell'indifferenza, è veramente molto molto trafficata.
Non posso credere che i miei sforzi e le mie attenzioni debbano inevitabilmente cadere nel vuoto, come frecce lanciate sempre fuori dal bersaglio, devo credere che qualche cosa prima o poi vada a buon fine. 
Il problema è che i fallimenti ci sono sempre e sono violentemente evidenti: il bambino ritirato da scuola, la bambina che ancora non vuole interessarsi a nulla, il bambino che ancora non crede in se stesso, la bambina che proprio non ha imparato. Ma come fare a vedere i successi? Quale di questi nostri allievi rivedremo tra vent'anni e ci racconterà come ha saputo tenersi in piedi nella vita?
Sono semi che noi piantiamo giorno dopo giorno, ma i frutti possiamo solo intuirli, immaginarli nei decenni a venire. 
Forse per questo a fine anno alcuni di noi sono depressi. 
Ci si volta in dietro e ci si chiede: che cosa ho fatto? 
Probabilmente si guarda dalla parte sbagliata, la risposta è avanti. 

sabato 23 giugno 2012

Le pagelle - come è andata a finire

E' andata a finire che hanno capito, che solo pochi hanno aperto subito quel cartoncino per leggere i numeretti davanti a inutilmente terrorizzate creaturine. I più ci hanno guardate con smarrimento e gratitudine, hanno dato un'occhiata per l'ultima volta alla classe e alla scuola, ci hanno stretto la mano, ci hanno ringraziate e abbracciate. E alcuni hanno pianto. Le mamme hanno pianto, ricordando il giorno in cui i loro piccoletti avevano cominciato questo percorso e vedendoli ora più grandi e sicuri si sono commosse. 
E noi abbiamo detto grazie, e abbiamo cercato di rincuorarle: 
"E' bello crescere! In bocca al lupo!"

lunedì 18 giugno 2012

Io odio le pagelle!

Oggi è il giorno della consegna delle pagelle. Il giorno in cui la follia ansiogena scolastica dà il peggio di sé.
Io odio compilare, discutere e consegnare pagelle, mi sembra ancora più odioso da quando dobbiamo dare i numeri invece dei giudizi. Lo trovo terribilmente odioso perché le famiglie danno un peso esorbitante a questo momento.
Questa mattina ho aperto il mio facebook e ho visto una mamma che ha scritto un post su quanto è emozionata per la pagella della figlia, un'altra mamma le ha risposto che lei è piuttosto stressata. Sono due mamme di due bambine che hanno la media del 10. Lo so perché ho fatto io le loro pagelle. Sapere che si stressano per venire a prenderle mi procura una tristezza immensa. Avrei voluto che fossero allegre e contente, che fosse un giorno di festa!

Mio figlio di solito ha la media del 10 e oggi andrò a prendere anche la sua pagella. La cosa non mi stressa minimamente e mi emoziona solo in parte. So come ha lavorato e che cosa ha fatto durante l'anno, se in pagella avrà dei 9 o dei 10 questo non incide minimamente sull'opinione che ho di lui. Non inciderebbe neppure il 7, l'8, il 6. Conosco le sue qualità e i suoi limiti, so che cosa lo mette in difficoltà e dove si trova perfettamente a suo agio, lo conosco come persona, so come si relaziona con gli adulti e con i compagni. Ho visto i suoi quaderni di tanto in tanto (non sono una che controlla sempre tutto...). Non ho paure né mi aspetto sorprese, commenteremo assieme la pagella e mio figlio si divertirà a leggerla al telefono a nonni e bisnonni. Io e suo padre gli abbiamo già detto che è bravo e abbiamo già festeggiato il suo impegno l'ultimo giorno di scuola, con un pranzo fuori nel suo ristorante preferito e un bel coltellino svizzero in regalo.

Non tutte le famiglie sono fortunate come le nostre, non tutte le famiglie ricevono pagelle da 10. E questo è ancora più triste perché, alle elementari, spesso tutto quello che non è 10 viene visto come uno schifo. I genitori se vedono un 7 in pagella quasi quasi pensano di avere un figlio idiota. Non è così! 
Non riesco a capire a che gioco dobbiamo giocare: i 10 li stressano, i 7 li deprimono... noi cerchiano di fare il nostro lavoro, di dare delle valutazioni oggettive che poi vengono calibrate sulla situazione individuale in quel preciso momento, tenendo conto anche delle difficoltà transitorie (periodi di malattia, problemi in famiglia ecc.). Cerchiamo di fare un lavoro onesto, onesto anche nel peso (relativo) che diamo a questi numeri: ci interessano le persone. Nei lunghi colloqui con i genitori durante l'anno spero che abbiamo dimostrato che la nostra prima preoccupazione è il benessere dei loro figli, la loro maturità, la loro capacità di stare con gli altri, di organizzarsi gli impegni, di collaborare in gruppo, di studiare e di interessarsi alle materie, di essere curiosi verso quello che li circonda, anche la capacità di stare nella scuola - con le sue regole, i suoi impegni e i suoi obblighi -.

Nella classe che oggi saluterò ho avuto delle splendide persone e delle persone che hanno purtroppo delle difficoltà e dei problemi che abbiamo cercato di affrontare assieme, non sono per noi "da 10" e "da 7", sono persone che hanno reso in determinate prove in un determinato modo, ma che sappiamo avere una gran quantità di altre qualità alle quali la pagella non pensa minimamente, ma che saranno per loro fondamentali nella vita.
Perché è così difficile far capire tutto questo ai genitori?
Come è brutto consegnare un documento con la propria firma nel quale loro cercheranno di vedere una misura dei loro figli, quando non -anche- una valutazione del loro essere genitori; come è brutto sapere che dove ci sono delle piccole difficoltà ci saranno sgridate e punizioni, pianti e tristezze. 
Non vorrei mai che dei pezzi di carta compilati e firmati da me dovessero portare a tutto questo!

Cari genitori, guadateli, ascoltateli, osservateli i vostri figli, tutto l'anno, e fidatevi che il vostro amore per loro e il loro stare bene conta molto di più dei nostri stupidi numeri di fine scuola! 
Non facciamoci annebbiare la mente dai numeri: guardiamo le persone e, insieme, avremo grandi risultati!

giovedì 14 giugno 2012

Che cosa facciamo quando la scuola è finita

La gente pensa che l'ultimo giorno di scuola sia l'ultimo giorno di lavoro anche per gli insegnanti. La gente pensa che 5 minuti dopo la campanella gli insegnanti siano tutti ad intasare strade e autostrade e ad accaparrarsi brandine e case vacanza. Non è così: si lavora fino a fine giugno, quest'anno fino al 29.
Certo, si lavora meno.
Lunedì abbiamo compilato le pagelle, martedì abbiamo compilato i documenti di passaggio alla scuola media, mercoledì abbiamo compilato le certificazioni delle competenze, intanto abbiamo copiato le stesse cose sui registri (alcune informazioni vengono inspiegabilmente copiate tre volte). Naturalmente non esiste compilare al computer e poi stampare, ma tutto viene compilato a mano. Poi sono arrivati i bidelli a far pressioni perché liberassimo completamente le aule, che vanno pulite a fondo. Quindi abbiamo cominciato a fare scatoloni e repulisti in vista del trasloco interno (il prossimo anno con la prima saremo due piani più in basso). Oggi giorno libero, domani pomeriggio collegio docenti. E poi ancora riunioni e gruppi e commissioni e burocrazia e traslochi, fino al collegio docenti del 29 giugno.

Ieri mi sono trovata di nuovo sola in classe a fare ordine, come all'inizio dell'anno con i miei concerti brandeburghesi, la scuola semi-deserta. 
Vorrei raccontarvi che ho la stessa spinta e lo stesso entusiasmo di quando ho cominciato la mia "rivoluzione delle matite", ma non è così. Ho una profonda, incolmabile stanchezza. Osservo le mie piccole vittorie: tutti i gabinetti hanno lo scopino comprato dalla scuola, e mi sembra un nulla rispetto a quanto c'è ancora da fare.
Mi sembra di aver speso per questo mio lavoro gran parte delle energie di cui disponevo e di esserne ora rimasta priva. 

Uno degli ultimi giorni di scuola i bambini mi hanno chiesto se potevano pulire la classe, naturalmente ho detto di sì. E' stato bello osservarli mentre, pieni di forza e allegria, pulivano con cura quei vetri, quei pavimenti e quei banchi che noi avevamo pulito a settembre. Avevano gli occhi luccicanti di entusiasmo "Maestra, è bellissimo mettere in ordine la classe!". Un bambino stava giocando in corridoio a "Trivial School", il gioco che abbiamo inventato con le domande dei programmi di quest'anno delle varie discipline, è entrato in classe e stupito ha esclamato: "Hei, ma qui si mette in ordine senza dirmi niente!" e si è gettato anche lui nelle operazioni.
Ho speso tutte le mie energie, ma forse qualcuno ha saputo metterle a frutto.

mercoledì 13 giugno 2012

E' finita così

Alle 9.50 ero a prendere le loro foto: 100 foto stampate di quando hanno recitato in teatro il nostro spettacolo su Ulisse. Bellissime. Alle 10 ero a scuola e mi sono fiondata in aula magna per sistemare tutte le foto su dei grandi tabelloni. Intanto loro, in classe con la collega, facevano la lotteria per decidere chi si poteva portare a casa i cartelloni fatti durante l'anno. 
Ho portato lo stereo in aula magna e ho fatto le prove tecniche del suono. Sola con 100 foto e questa musica di sottofondo, un grande cartellone bianco dove mi sono sentita di scrivere in grande "GRAZIE A TUTTI PER QUESTI ANNI PASSATI ASSIEME".
Ed è finita che ho pianto un pochino.
Poi il nostro spettacolo, oramai alla terza rappresentazione, nella quale sono stati ineccepibili, la confusione del cambiarsi, del raccogliere le ultime cose, i genitori nel corridoio, l'appuntamento in pizzeria. Al pranzo tante foto e una torta bellissima con libro, matita, righello e panino di pasta di zucchero. E poi i saluti e gli abbracci a tutti i bambini, uno per uno, augurando una buona estate.
Verso la fine una mamma mi dà la mano e mi ringrazia con un piccolo discorsetto privato: mi ringrazia per aver portato tutte queste novità, mi augura di portare avanti i miei progetti e non so più che cosa altro, già mi ronzano le orecchie per l'imbarazzo. Poi la ringrazio anche io: grazie a voi, mi avete fatto ri-innamorare di questo lavoro. Ed è finita che avevo la voce commossa e abbassando gli occhiali da sole me ne sono tornata a scuola.

Ed è finita che non ci hanno lasciato dei disegni o dei biglietti, è finita senza i loro pianti commossi. E' finita da persone mature, perché forse in questi anni hanno imparato che è bello stare assieme ed è anche bello crescere e partire, un po' più sicuri di alcune esperienze, verso nuove avventure.
Buon viaggio!

venerdì 8 giugno 2012

Malinconie da ultimo giorno di scuola

Oggi entro alle 10 e poi sarà tutto un turbine di eventi: preparare l'aula magna e i loro trucchi e costumi per la recita finale, andare tutti assieme a mangiare la pizza, salutare i genitori, tornare a scuola per fare gli scrutini, andare a teatro a vedere lo spettacolo delle medie. Non avrò più tempo di pensare a quello che sta succedendo. Non avrò un minuto per stare sola con loro a raccontarci quello che pensiamo, quello che vogliamo.
Ed è meglio così: potrebbe diventare troppo commovente...

Invalsi - postfazione

Poi ieri avevo già fatto veramente tutto quello che volevo fare, compresa la lezione di cucina con tiramisù finale, il laboratorio di ballo con l'esperto di cha cha cha, l'uscita sportiva... e avevo davanti quattro ore di lezione e così, in un attimo, perché un bambino mi aveva chiesto "quando guardiamo le prove Invalsi?", ho deciso di riprenderle in mano, tutti assieme. E alla fine sì: le ho corrette e commentate con la classe.
Ci abbiamo messo circa un'oretta. Ci siamo accorti che siamo stati molto avvantaggiati nella parte di grammatica dal fatto di aver fatto analisi valenziale e laboratori di grammatica: siamo abituati a ragionare sulla lingua. Alla fine ho fatto fare a loro il calcolo degli errori e la proporzione per vedere il punteggio in decimi. Sono rimasta strabiliata: i due voti più bassi sono due 7, poi tutta la classe si situa tra l'8/9, il 9 e il 9/10!
Bravi!

domenica 3 giugno 2012

Invalsi - epilogo

Dopo quanto raccontato in Prove Invalsi, la logica e lo stomaco vi voglio dire come sono andate a finire le cose.
E' arrivata una circolare dove ci comunicavano la data entro la quale consegnare in segreteria la tabulazione delle prove. Come al solito non ci è stato detto in che orario correggerle. Io e la collega di sostegno abbiamo usato il pomeriggio della programmazione e in due ore e mezza abbiamo tabulato le prove di italiano, altre colleghe si sono fermante quattro o cinque ore per tabulare le prove di matematica e i questionari degli alunni. Avevo un sacco di buoni propositi: analizzare i dati, commentare in classe con i bambini le domande e le loro risposte, ragionare sulle cause dei loro errori, ma sono uscita così professionalmente disgustata da questa esperienza che non ho più voglia di far nulla. Prima mi tolgo di mezzo questi test e meglio sto.

Lo scorso fine settimana sono stata ad un interessantissimo corso di aggiornamento, nel quale si è parlato anche di Invalsi in termini pacati e scientifici. Ne ho parlato anche con una mia collega e amica, della quale mi fido assolutamente, che mi ha detto che lei in principio era contraria, ma poi lavorandoci su, all'interno della commissione che la sua scuola ha istituito per l'analisi dei risultati dei test, si è ricreduta. Lei pensa che i test siano costruiti in modo scientifico e secondo le più aggiornate teorie della linguistica, che siano una fedele fotografia del rendimento dei bambini in una materia e che possano essere da stimolo per i colleghi per lavorare con una nuova impostazione, meno mnemonica e più improntata alla logica e al ragionamento. Io e lei già lavoravamo nella direzione di una didattica, diciamo così "più moderna", ed eravamo concordi nel dire che non è l'Invalsi a convincerci della validità di un metodo che pone in primo piano il ragionamento rispetto alla memoria, come eravamo concordi nel dire che non basterà l'Invalsi a far cambiare metodo ad alcuni colleghi. Ma io non possono non provare un profondo fastidio verso questi test.
Alcuni motivi di questo fastidio ve li ho già illustrati, voglio solo ancora farvi vedere questo:
E' la foto di una pagina del questionario alunno. La domanda indaga sulle motivazioni allo studio... vi sembra che manchi qualche cosa? Sì, mancano le risposte più sensate come: "Studio perché mi interessa", "Studio perché sono curioso di sapere cose nuove", "Studio per me stesso".
Un'idea di scuola così per me non ha senso...

martedì 29 maggio 2012

"Andate sotto i banchi".

Io la stavo guardando mentre lei pensava come rispondere alla domanda di storia. La sua compagna, anche lei in piedi alla lavagna, intanto pensava a come avrebbe risposto alla domanda successiva. 
Sento tintinnare le finestre. Guardo la collega di sostegno. "E' il terremoto" ci diciamo.
Allora pronuncio quella frase che ci hanno insegnato a dire: "Andate sotto i banchi". La ripeto credo due volte, senza gridare, senza segnali di allarme nella mia voce. Almeno così mi sembra. Ci vanno, sotto i banchi.
E io mi infilo sotto la cattedra. Scopro che la cattedra ha una fessura, dalla quale posso vedere i bambini. Mai notata questa fessura, ma è utile. Mi sembra quella che si vede nei bunker tedeschi sulle coste della Normandia. Ho questa immagine stupida in testa. "Il giorno più lungo": il tedesco da solo che guarda il mare e vede lo sbarco. Io guardo la classe e vedo i bambini accovacciati sotto i banchi. Mi sembrano tranquilli. Dico di fare silenzio perché ho bisogno che tutti mi sentano, dico di restare sotto i banchi perché non sappiamo se ci saranno altre scosse. Loro parlano un po', ma nessuno piange, nessuno si dispera.
Una collega mi chiama dal corridoio per cognome e dice "Il terremoto!"
Deve essere stato buffo lo spettacolo che ha visto: una classe tutta sdraiata a terra e una maestra invisibile (o una cattedra parlante).
Sotto la cattedra ho avuto paura. La paura della mia responsabilità: se viene una scossa più forte, se questa scuola, che ha più di cento anni e una scarsissima manutenzione, cade a pezzi io devo portare in salvo questi 25 bambini. Sei rampe di scale. Siamo all'ultimo piano. Mio figlio sta in piano terra. Mia madre per fortuna ancora a casa. A casa è meglio che a scuola. Qualsiasi posto è più sicuro della scuola. Se dobbiamo restare ancora qua sotto dico ai bambini di unire i banchi, spostandoli da sotto, così creiamo una testuggine romana, dei corridoi dove si può passare. Un'altra immagine stupida. Da Asterix, questa volta penso ad Asterix: la testuggine di legionari con i loro scudi azzurri. I banchi come scudi. Vedo che la collega (è alta) è mezza fuori dal banchetto sotto al quale si è messa assieme a un bambino. Sembra un gattino accovacciato. Un gattino che vuole giocare a nascondino ma non sa di essere visto.  Penso che c'è un'altra cattedra nella classe, che lei dovrebbe stare sotto l'altra cattedra. Chiedo ai bambini di fare silenzio. Ma non grido. Non hanno capito, non sanno se è un'esercitazione o c'è qualche cosa che non va. Veramente.
Suona il campanello in quel modo che significa "uscite di scuola". 
In fila, in fila, andate in fila. Attaccatevi alla spalla del compagno. Mi ricordo il registro rosso. Non so perché ma guardo anche il registro verde, quello personale. Ma poi penso chissenefrega del registro dei voti, aperto per le interrogazioni di storia. Prendo la borsa: c'è il telefono.
Si mettono in fila ma lei, lei che viene da l'Aquila, si prende la giacca. Forse lei sa che può essere che esci e non sai se torni. Non le dico nulla. Le procedure dicono "non prendere niente". Ma penso che lei può prendere la sua giacca. So che lui ha male al ginocchio, so che lui fa le scale pianissimo. Lui si mette sempre ultimo. E resta sempre in fondo. Questa volta no, ci sono altri bambini dietro di lui che lo stimolano ad andare giù per le scale. E scende al ritmo degli altri. Un po' zoppica ma va. Per fortuna.
Sei rampe di scale piene di bambini. Siamo 500 a scuola, su tre scalinate. Sotto di me forse ci sono 150 bambini. Sono rumorosi ma scendono.
Arriviamo in cortile. Guardiamo le facce delle colleghe. Quelle del piano terra pensano davvero che si tratti di un'esercitazione o lo dicono solo per non spaventare i bambini di prima?
La mia collega ha le gambe molli: lei viene dal Friuli.
Passa il Preside. Possiamo rientrare. Il responsabile della sicurezza ha sentito i vigili: il terremoto non è qui da noi.
Non ho voglia di riportarli dentro. Ho sul fondo, come un retrogusto, questa idea della scuola come luogo non sicuro. Ma sono entrati già tutti, siamo gli ultimi. Faccio un discorsetto lì fuori sotto gli alberi. Spiego che in queste situazioni bisogna essere molto seri e svegli, pronti ad ascoltare quello che dice la maestra.
Torniamo su. Le due bambine si mettono in posizione alla lavagna per l'interrogazione di storia. 
Mi fa venire la nausea questa routine scolastica. Guardo la collega, che cosa ci importa delle interrogazioni di storia? Parliamo un po' di quello che è successo? E' il nostro primo terremoto a scuola!
Decidiamo di parlare un po'. E' meglio tirare fuori le paure, penso, anche se piccole. Abituarsi a parlarne. La maestra racconta del terremoto del Friuli, del corridoio che si muoveva, del papà che l'aveva svegliata; la bambina racconta del terremoto de l'Aquila, del papà che l'ha presa in braccio, del trovarsi tutti in macchina in pigiama, della casa crollata, del papà che piange davanti alla TV rotta, del trasloco da Sud a Nord. E' allegra, quasi divertita. "Mi è crollata la casa!" dice, e intanto alza le spalle. Un'altra bambina racconta di una tromba d'aria in campeggio, di come si sono rifugiati nei bagni, dell'albero caduto sulla tenda (vuota) dei cuginetti. Qualcuno chiede quando facciamo le interrogazioni di storia. Una bambina mi viene a dire che lei vuole essere interrogata oggi. Suona il campanello e ci guardiamo un attimo per decidere se è un campanello normale oppure no. Sì, è il campanello della ricreazione.
Si gioca, si mangia. Risuona il campanello.
E poi si fanno le interrogazioni di storia. Più insicuri di prima.
Attorno alle 13 la scuola trema un'altra volta, ma è l'ora dell'uscita per alcuni, della mensa per altri, solo qualche maestra l'ha sentito.

venerdì 25 maggio 2012

Ancora sul valore del tempo


Ho già scritto in questo blog del sistema che ho usato in questi anni per appassionare i bambini della mia classe alla lettura (Un metodo sicuro per far leggere i bambini). Pensavo oramai di aver innescato la scintilla di un fuoco che non si sarebbe più spento e da qualche mese avevo lasciato da parte le attività di lettura, convinta che tutti continuassero a leggere per conto proprio. Ero confortata in questa convinzione dal fatto che vedevo circolare dei libri in classe e che qualcuno continuava a chiedermi quando avremmo fatto di nuovo "le pubblicità dei libri". 
Sono rimasta quindi molto stupita quando, durante un colloquio, la mamma di uno di quelli che consideravo un grande lettore (suo il record di lettura: tutti i tre volumi della saga di Narnia letti in poco più di un mese!) mi ha detto che è preoccupata perché suo figlio non vuole più leggere nulla che non sia Topolino.
Questa rivelazione, assieme a qualche rapido sondaggio in classe dal quale è emerso che ci sono bambini che "in questo momento" non stanno leggendo nessun libro, mi ha fatto capire il mio errore: se pensi che sia importante dedicare del tempo a una cosa devi far vedere che tu per primo lo dedichi.
Da quando ho cominciato a dedicare meno tempo alle attività di lettura a scuola, loro ne dedicano meno anche a casa. E non è un fatto di compiti, non davo per compito da leggere un libro di lettura, era un'attività spontanea e volontaria, libera nella scelta dei testi e del tempo impiegato per leggerli, semplicemente prima in classe ci raccontavamo che cosa avevamo letto a casa, poi abbiamo smesso. Avevo deciso di dedicare del tempo ad altre attività.

Mancano pochi giorni alla fine della scuola, io ho praticamente finito con i programmi che avevo previsto di fare nelle diverse materie e mi mancano ancora pochissime prove di valutazione. Siamo in quinta e sono quindi gli ultimi giorni per loro nel rassicurante ambiente della scuola elementare, volevo che provassero anche un brivido di libertà prima di andare via. Ho chiesto quindi di indicarmi alcune lezioni o attività che avrebbero voluto svolgere negli ultimi giorni di scuola. Moltissimi mi hanno chiesto di leggere! Di ascoltare la mia lettura ad alta voce di "Cuore di eroe" di Piumini (rielaborazione dell'Eneide), di portare i loro libri e stare a leggere in silenzio.
Mi hanno chiesto di dedicare, nuovamente, del tempo alla lettura.
Loro sanno che leggere è importante e che se una cosa è importante bisogna trovare del tempo da dedicarle!

mercoledì 23 maggio 2012

Il valore del tempo


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Credo che una delle cose che dobbiamo insegnare è a non avere fretta. 
Qualche tempo fa siamo andati a seguire un laboratorio artistico presso un importante museo d'arte della città. La guida ha diviso i bambini in due gruppi, ha spiegato in due minuti che cosa dovevano fare, ha dato cartoncini, colori, fotocopie, forbici e colla. I miei bambini si sono messi a discutere su dove avrebbero dovuto disegnare la montagna, su che cosa mettere in primo piano, che cosa sullo sfondo, sulla tonalità di verde da usare. Dopo 10 minuti non avevano ancora cominciato: stavano ancora progettando. La guida ha cominciato a dire che avevano a disposizione ancora 5 minuti di tempo per finire il lavoro. 
Abbiamo parlato con la guida e ci ha raccontato che di solito i bambini tagliano, appiccicano e colorano un po' a caso e che dopo 10 muniti hanno già finito, questi erano i primi bambini che vedeva lavorare così. Ho chiesto di modificare in parte il programma della giornata per dare un po' più di tempo a questa attività, in modo che potessero finire il lavoro e avere soddisfazione dall'averlo terminato, e abbiamo trovato un accordo su come organizzarci.
Non avevo mai capito in maniera così evidente quanto ho insegnato alla mia classe a progettare. Vedere i miei alunni lavorare in un contesto esterno senza la mia guida è stato come vedere un risultato del mio lavoro da fuori. Sì, hanno imparato a progettare, meglio: sentono spontaneamente la necessità di progettare, di ragionare su un lavoro prima di cominciarlo.
Adesso che ne sono consapevole ho rincarato la dose sull'importanza e la cura da dedicare al progetto. Imparare a progettare significa imparare a ragionare, a scegliere tra diverse possibilità, a correggersi e valutarsi con sguardo obiettivo. Se sai progettare farai un disegno più curato, scriverai un testo più coerente, preparerai una ricerca con maggiore cura... magari ti farai anche la valigia in modo più organizzato. 

Per insegnare a progettare bisogna non avere fretta di avere in mano il prodotto.
In questo periodo stiamo facendo un lavoro ispirato a Kandinskij. Non avere fretta di avere in mano il prodotto significa che non ho dato qualche fotocopia di qualche quadro di Kandinskij chiedendo di fare una copia. Ho detto invece di osservare i quadri, nei libri che ho portato e nelle fotocopie, di osservare prima le forme e le linee e poi i colori; di prendere un foglio di brutta copia e fare tre o quattro progetti personali ispirati ai quadri visti solo a matita, poi scegliere quello che si ritiene il migliore e fare delle prove colore con le matite colorate. 
Per questa attività abbiamo usato due ore, quindi le ore di arte di una settimana. Per casa dovevano finire di colorare. La settimana dopo sono arrivati in classe disegni bellissimi e curatissimi... ed erano solo i progetti! Abbiamo discusso su quali modifiche si potevano fare per i quadretti da realizzare, quindi hanno preso i fogli da disegno, hanno riportato il disegno a matita, valutato il suo funzionamento, e iniziato a colorare con pennelli e tempere. In tutto ci vorranno almeno tre settimane per questa attività, per i disegni più complicati da dipingere anche quattro settimane. 
Non è tempo perso, è del tempo per capire quanto valore in più porta il tempo impiegato all'attività che stiamo facendo. 

domenica 20 maggio 2012

Senza parole

Mi sembra che ieri con le bombe fuori dalla scuola di Brindisi si sia toccato il fondo. Mi è difficile trovare qualche cosa di interessante da dire.
In questo articolo ho trovato alcune delle cose che mi sono trovata a pensare.

lunedì 14 maggio 2012

Prove Invalsi: le testimonianze, la logica, lo stomaco

Come sempre gli artisti della comicità colgono nel segno, ascoltate questo:
Greg e Lillo
Argomentazioni a sostegno dei ragionevoli dubbi sull'anonimato delle prove le trovate qui:
Invalsi anonimi?
Questo lo sfogo di un genitore:
mamma di bambino testato
Moltissime informazioni sull'Invalsi e sulle proteste le trovate sul sito di
rete scuole

Di seguito le mie opinioni e la mia esperienza.
La scorsa settimana anche nella mia classe sono state fatte le prove Invalsi. Il caso ha voluto che io avessi l'orario pomeridiano in tutte e due le giornate di somministrazione. Quindi non ho potuto aderire allo sciopero del 9 contro le prove perché la mia adesione sarebbe stata al di fuori dell'orario della somministrazione, quindi inutile.
Visto che il collegio docenti della mia scuola, non si sa più quanti anni fa e senza alcun dibattito, non ha espresso parere contrario alle prove Invalsi, nella mia scuola e nella mia classe le prove si fanno. Visto che le prove si fanno ho voluto esercitare i miei alunni a queste prove. Ho sostenuto la necessità di questa esercitazione anche in consiglio di interclasse contro il parere contrario di una rappresentante dei genitori di un'altra classe. Ho addirittura proposto ai genitori di comprare il libretto per le esercitazioni ai test, che abbiamo  terminato prima della somministrazione delle prove.
La mia posizione è quindi questa: ritengo che sia necessaria una valutazione delle scuole, dei docenti e della didattica, perché credo che la nostra società non possa permettersi il lusso di avere un sistema scolastico dove a volte ci sono persone che non solo non insegnano ma provocano danni permanenti su questioni fondamentali di base, quale ad esempio stimolare la curiosità e il desiderio di conoscere, apprendere, approfondire. Credo troppo nelle possibilità sociali, educative e didattiche della scuola per non rendermi conto del fatto che come a scuola si possono fare grandi cose si possono fare anche grandi danni. La valutazione dovrebbe avere quindi come obiettivo quello di eliminare o ridurre questi danni. I test Invalsi hanno invece lo scopo, come dichiarato più volte, di stilare delle classifiche di merito che dovranno servire in un futuro per l'assegnazione dei fondi. L'idea che sottende i test Invalsi è quella di assegnare i fondi non come incentivo al miglioramento della didattica nelle situazioni di maggiore difficoltà, ma come premio nei contesti virtuosi. Questo sistema concorrenziale non è adatto alla scuola pubblica, il cui scopo dovrebbe essere quello di garantire a tutti i propri studenti un alto livello di formazione.
Credo che una valutazione del sistema scolastico finalizzata al suo miglioramento dovrebbe necessariamente essere non la fotografia di un dato momento, ma la misurazione della differenza tra un momento di partenza e un momento successivo. L'azione didattica si misura, cioè, andando a vedere la differenza tra il punto di partenza e il punto di arrivo riguardo alle stesse domande. Questa è una banalità conosciuta a qualsiasi formatore: quello che si fa per vedere e dimostrare che il proprio corso di formazione sull'argomento x ha funzionato è fare un test d'ingresso e un test d'uscita sullo stesso argomento. Si può fare per una lezione di 2 ore nella quale si vuole che una classe di dipendenti pubblici impari a scrivere un avviso al pubblico efficace e si può fare in un corso universitario di 60 ore. L'unica vera misurazione dell'efficacia didattica è la misurazione di una differenza, cosa che l'Invalsi non fa.
Ancora non mi piace dell'Invalsi il fatto che è costruito quasi interamente con domande chiuse a scelta multipla. Questo può funzionare per misurare solo alcune competenze ma dimostra tutti i suoi limiti in attività quali la comprensione del testo scritto o anche la riflessione linguistica fatta a livelli più avanzati. Ho abituato i miei ragazzi a pensare in maniera molto articolata, sia sui testi che sulla lingua, e nelle risposte ai test non trovano la possibilità di portare avanti questi ragionamenti.
Per i bambini testati l'Invalsi è fonte di stress ed è un sistema che dimostra la sua inadeguatezza in maniera crescente con i calare dell'età dello studente. Con i bambini piccoli una valutazione individuale e ragionata è assolutamente prioritaria. E' inoltre irrispettoso nei confronti dei bambini con difficoltà di apprendimento. Nella mia classe abbiamo segnalato un caso di DSA con certificazione e non abbiamo avuto nessuna indicazione differenziata per la somministrazione della prova a questa bambina. La madre saggiamente ha tenuto la bambina a casa i giorni delle prove.
Trovo poi detestabile il metodo poliziesco che viene intimato ai somministratori delle prove. L'insegnante e il somministratore vengono trattati malissimo in tutto ciò che ha a che fare con l'Invalsi. Innanzitutto l'insegnante viene informato meno di tutti: le segreterie ricevono istruzioni, i genitori lettere, segreterie genitori alunni compilano questionari e gli insegnanti no. Non viene mai chiesta la loro opinione sul contesto lavorativo nel quale si trovano. L'Invalsi vuole insegnanti muti e con i quali comunica poco. Comunica poco perché non ha nessun titolo per richiedere la loro collaborazione e, evidentemente, non è interessato a sapere nulla di loro. Spiega poco o nulla, in maniera molto confusa, caotica, ritardataria e spesso con errori, imprecisioni, ed errata corrige, quello che "dovrebbero" fare gli insegnanti in fase di tabulazione dei dati. Non si sa perché gli insegnanti dovrebbero tabulare i dati, in quale orario e se come lavoro retribuito o non retribuito. In molti casi i risultati di questi nostri sforzi non verranno neppure analizzati dall'Invalsi, che farà le sue statistiche solo sui dati delle classi campione (sembra che siano un decimo del totale).
Penso tutto questo dell'Invalsi eppure ho preparato tenacemente, anche attraversando polemiche e discussioni, i miei studenti ad affrontarlo. 
Questo perché considero questo sistema di valutazione come una delle sfighe inevitabili della loro vita futura. So che si troveranno più volte ad essere valutati in maniere improprie attraverso delle crocette messe su dei test dalla logica spesso discutibile, a volte contenenti veri e propri errori. Ho voluto che questa "sfiga della vita" non li cogliesse impreparati. 
Qualche mese fa abbiamo preso il nostro libretto con 5 prove e abbiamo iniziato un allenamento e una discussione su come queste prove sono costruite, su quale è la logica della risposta multipla e su come si fa a trovare una risposta accettabile anche se la risposta giusta non c'è. Una volta sviscerata la logica hanno provato a fare i test da soli e abbiamo discusso i risultati a posteriori. I ragazzi hanno partecipato volentieri a questi ragionamenti e io ho avuto la soddisfazione di aver dato uno strumento per affrontare una ingiusta difficoltà che troveranno nel loro futuro.
Ho anche provato a trasformare i risultati in punteggio (del quale non terrò conto nelle medie) per vedere se erano congruenti con le mie valutazioni. Ho estrapolato le valutazioni per 2 prove e mi è risultata una sola insufficienza (la bambina con DSA era assente), i voti che sono emersi sono meno articolati dei miei, cioè più schiacciati dal 7 al 9, mentre le mie valutazioni comprendono tutti i voti dal 5 al 10.
Trovo che sia ingiusto chiedermi di usare delle ore gratuite extra orario o delle ore destinate alla programmazione per farmi correggere le prove Invalsi, alla cui somministrazione non ero presente. Sono tentata di non correggerle, e in effetti sono nell'ufficio del Preside da mercoledì e non le ho ancora corrette.
Se penso al fatto che i miei studenti hanno lavorato per quelle prove, allora penso che dovremmo correggerle e discuterle assieme, come tutti gli esercizi e le valutazioni che facciamo. Dovrei allora correggerle e riportare in classe i test, in modo tale che ciascuno possa ragionare sulle cause dei propri errori. Non ho ancora deciso che cosa farò.
So però che oggi pomeriggio, al Collegio docenti unitario, chiederò che si parli di queste prove, della teoria che c'è dietro, degli scopi che hanno e del ruolo di noi insegnanti. 
Vorrei che quando un Collegio docenti approva la partecipazione all'Invalsi sapesse che cosa sta approvando, vorrei che quando ci troviamo a fare da somministratori e/o da correttori, fossimo consapevoli di che cosa stiamo facendo e perché. 
Vorrei arrivare alle prossime prove, per me tra due anni, più consapevole e preparata. 
Magari la prossima volta riuscirò a non farmi venire la gastrite

mercoledì 9 maggio 2012

Com'è difficile la serata dell' insegnante

Non so se è per via della pasta al pesto annegata nell'olio della mensa o per tutti i problemi che abbiamo avuto con le prove invalsi, ma questa sera ho lo stomaco a pezzi!
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lunedì 7 maggio 2012

Un dono inatteso

Sono giorni che vedo con la coda dell'occhio che traffica con carta, forbici e scotch, e siccome ho sempre paura di contrariarlo, perché non so se poi esploderà di rabbia o magari si chiuderà offeso in se stesso, faccio finta di nulla. Mi basta che ascolti e che non distragga gli altri compagni. Oggi è rimasto fino alle 17, assieme ad altri sei compagni, per le lezioni di recupero sull'ortografia. Quando finisce la sua lunga giornata di nove ore di scuola, mi porta la sua creazione: "Maestra, è per te!" E' un porta penna da tavolo a forma di albero con la faccia. 
Mi fa molto piacere. 
I bambini complicati trovano sempre un modo per dire "grazie".

venerdì 4 maggio 2012

Un aiuto dall'alto

Oggi alle 8 abbiamo trovato le classi sporche, erano stati solo svuotati i cestini. Rapido giro di opinioni nei corridoi e c'è chi racconta che una signora delle pulizie ha detto che per mancanza di fondi le classi verranno pulite una volta a settimana. Trovo la cosa inaccettabile: 25 bambini mangiano studiano tagliano colorano giocano, vivono per 40 ore a settimana in queste aule. Per quanto siano ben educati la pulizia una sola volta mi sembra veramente poco. Come sa chi segue questo blog dall'inizio il problema delle pulizie non è affatto nuovo, questo è un ulteriore peggioramento su una situazione già critica. Pensiamo a che cosa si può fare, parliamo con i bidelli, parliamo con una nostra rappresentante sindacale e con la responsabile del plesso. 
Nel frattempo la mia collega porta la classe in cortile per un'attività. Io torno in classe pensando a possibili soluzioni e, nell'aula vuota, vedo questo:


Gesù si offre gentilmente di darci una mano a pulire i pavimenti, ma non ce la fa: è inchiodato al muro.
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giovedì 3 maggio 2012

Come interrogare tutta la classe in due ore senza diventare matti

Come ho già scritto (vd. Una questione di metodo) per un lungo periodo abbiamo fatto verifiche di storia scritte e con domande aperte. Volevo che imparassero a ragionare e a scrivere le loro risposte avendo spazio e tempo a disposizione. Poi abbiamo fatto i nostri convegni (vd. Comitato scientifico al lavoro) nei quali hanno imparato a fare una ricerca e a esporla oralmente.
Poi ho pensato che dovevo anche prepararli ad essere interrogati. Ma come fare quando sono così piccoli? Se interroghi uno gli altri 24 si annoiano orrendamente e iniziano a disturbare. Riempirli di schede? Volevo che imparassero anche osservando le interrogazioni degli altri. Come fare a non annoiarmi a sentirmi dire decine di volte le stesse cose?
Ho inventato il sistema che ora vi descrivo. 
Faccio un pezzo di programma (se volete chiamatelo modulo o unità didattica) che risulti abbastanza completo in sé; nel periodo in cui leggiamo assieme e spiego chiedo sempre di fare per casa schemi o riassunti della lezione spiegata, in modo tale che non sia possibile lasciare tutto da studiare all'ultimo, poi fisso una data per le interrogazioni. Avviso delle interrogazioni sempre circa una decina di giorni prima. Il mio obiettivo è che imparino a studiare un discorso organico e complesso in un arco di tempo, credo che non avrebbe senso chiedere oggi i 7 colli e tra una settimana i 7 re di Roma: bisogna avere una certa quantità di informazioni per fare ragionamenti e collegamenti sensati. Quindi chiedo di studiare parecchia roba, ma do anche parecchio tempo per farlo.
A casa mi preparo un elenco di molte domande sull'argomento, domande che diano sempre la possibilità di rispondere brevemente oppure di allargare il discorso e articolarlo in modo più complesso, in modo da essere adatte sia per i bambini più in difficoltà che per quelli più brillanti. Ad esempio in una domanda cerco di non chiedere solo il nome di una città o una data (ci sono alcune domande che noi chiamiamo "domande stupide"...).
Il giorno dell'interrogazione prevedo due ore circa, nelle quali riesco ad interrogare 25 bambini. 
Funziona così: in una scatola ho 25 bigliettini con i nomi dei bambini, in un'altra scatola ho le mie domande tagliate a striscioline e piegate. Pesco i nomi dei bambini: 2 vengono alla lavagna e 2 si siedono nel primo banco, i 2 alla lavagna sono interrogati e quelli in primo banco fanno da "controllori" di quanto stanno dicendo gli interrogati. Ogni interrogato pesca due o tre domande (tre nei casi di sufficienza stiracchiata). Le domande si pescano, si leggono e si ha un tempo per pensare a come rispondere in modo sensato. Questo perché devono ancora esercitarsi molto per riuscire a mettere assieme la memoria di quanto studiato con la pianificazione e l'organizzazione di un testo orale ben organizzato. Anche "essere interrogati" è un lavoro che si può imparare, scomponendo le varie difficoltà che implica e dando a ciascuna il suo tempo per essere gestita.
Chi ha finito l'interrogazione va al posto e può fare il "notaio" guardando dal libro, se sente qualche inesattezza può alzare la mano. I controllori diventano i successivi interrogati e vengono quindi chiamati altri due controllori. 
Per ora funziona: riescono a stare tutti molto attenti, sia quelli che devono ancora essere interrogati, perché sperano che le domande finiscano e che poi vengano rimescolate e ripescate quando tocca a loro, sia quelli che hanno già fatto l'interrogazione, che cercano di capire se i compagni stanno sbagliando. E' diventato quasi un gioco.
Ho solo un problema: quelli che non vogliono parlare. C'è un piccolo gruppetto di bambini e bambine che è troppo imbarazzato dal fatto di venire alla lavagna ed essere messo sotto i riflettori. Cerco di farli parlare anche dal posto (spesso sono ottimi "controllori" e ottimi "notai"), ma a volte non basta. 

Mi chiedo: quanti, nel loro futuro scolastico, sapranno distinguere tra quello che non sanno perché non hanno studiato e quello che sanno ma non sanno esprimere o quello che sanno ma hanno paura di dire?

giovedì 26 aprile 2012

L'incubo dell'insegnante. Ancora a proposito di me... alle origini.

Ero in classe, dovevo fare le interrogazioni di storia. In classe con me c'era un osservatore-tirocinante, che in contemporanea (cose che succedono nei sogni) era anche un mio collega dell'università non meglio specificato. I ragazzi erano in piedi, seduti, con strani grembiuli marroni. Chiedevo di sedersi, di fare silenzio, spiegavo che dovevo fare le interrogazioni di storia. Niente da fare: la confusione continuava e la mia voce era sempre più roca e sottile, tentavo di gridare ma usciva solo una vocina flebile. Guardavo il mio tirocinante-osservatore-collega, che non faceva proprio nulla, mi guardava e basta, nessun aiuto: dovevo cavarmela da sola. 
Come sempre i sogni e gli incubi non hanno un finale, mi sono svegliata così con questa sensazione di impotenza e di voce roca. E con le interrogazioni di storia da fare.
Non vi stupite: i miei sogni sono spesso facilissimi da interpretare.

L'incubo dell'insegnante è parlare e non essere ascoltati, è provare a farsi sentire, ad andare avanti e non riuscirci in nessun modo. E' un incubo nel quale a volte cadiamo, o siamo caduti, nella vita reale.
A me è successo a inizio carriera. 
Ho cominciato a fare la maestra perché ho vinto un concorso per fare la maestra, quindi ho avuto la mia prima classe senza aver mai avuto un'ora di supplenza. Certo avevo fatto 40 ore di tirocinio per poter fare la maturità magistrale da privatista, come secondo titolo di scuola superiore. Di quelle 40 ore ho alcuni ricordi indelebili: la scoperta che esistono ancora anche in città bambini che arrivano alle elementari senza aver fatto l'asilo e sapendo parlare solo il dialetto (erano due in quella classe); l'indignazione per l'attività motoria fatta dalla titolare della classe a base di corsa in fila per 3 a ritmo di tamburello (ero un'istruttrice con tesserino CONI!); la mia personale soddisfazione per aver insegnato all'ultimo degli ultimi a disegnare una stella... che prezioso era diventato quel foglio di carta!

Nessuno ti spiega mai come tenere una classe. Ho continuato a studiare, dopo, ho seguito il corso neoassunti nel mio primo anno di servizio, ho conosciuto docenti e frequentanti scuole di specializzazione e abilitazione per l'insegnamento, io stessa vi ho insegnato, ho seguito corsi di aggiornamento. Nessuno mi ha mai spiegato come si tiene una classe, come si fa a far parte di quegli insegnanti che quando entrano in classe, senza alzare la voce, fanno sedere tutti gli alunni, si fanno ascoltare quando parlano, gestiscono con ordine le discussioni di gruppo. Sorridono.
Visto che nessuno me lo aveva spiegato probabilmente non lo sapevo fare. Non voglio dire che tutte le mie giornate erano come nell'incubo di questa notte, ma molti, molti interminabili momenti. Molte, molte volte nelle quali, nei miei primi anni di insegnamento, ho gridato, ho battuto le mani, ho sbattuto barattoli sulla cattedra, ho sbattuto la porta... tutto per riuscire a farmi sentire. Sono reazioni irrazionali, immediate, spontanee, volevo semplicemente dire "IO INSEGNO". La prima cosa che ti viene da fare è gridare, subito  cadi in una spirale: dopo che hai gridato devi gridare più forte e dopo che hai gridato più forte devi sbattere qualche cosa perché la tua voce è finita. La voce è un altro grosso problema dell'insegnante inesperto: devi tenere un volume sempre piuttosto sostenuto per farti sentire da 25 persone in una grande aula 4, 5 o 6 ore al giorno, quindi se non la sai usare (anche se non gridi!) la voce se ne va. Ricordo che mia madre mi aveva comprato le pastiglie per i cantati. Non siamo puoi tanto diversi dagli attori...
Ricordo che questa frustrazione, per fortuna, non mi si è mai trasformata in ostilità nei confronti dei miei alunni, quanto piuttosto in disgusto verso me stessa, verso questa bestia rabbiosa che usciva fuori da me, verso questa me brutta e cattiva, che non riusciva a trovare un modo più dignitoso per farsi ascoltare e per fare, finalmente, il suo mestiere. Ricordo che mi sentivo male, stavo male, mi ammalavo di sinusite, di bronchite, di gastrite, mi prendevo i pidocchi. E stare a casa ammalati era un sollievo: potevo stare nel silenzio, potevo studiare.
Naturalmente cercavo anche di fare del mio meglio, di interessare i miei studenti, di essere disponibile con i genitori, di capire perché quel bambino prendeva a calci in pancia i compagni, perché quell'altro aveva difficoltà ad imparare, come poter risolvere le situazioni difficili. Ma ho avuto per anni la sensazione di trovarmi al fronte, e di non essere preparata per la dura vita del soldato di prima linea. D'altro canto la mia carriera era nata all'incontrario con una discesa clamorosa, come non sentire l'impatto dell'atterraggio? Prima di arrivare alla prima linea ero già stata nelle stanze dei generali: avevo già tenuto dei corsi all'università, pubblicato, parlato a conferenze internazionali, mi ero già seduta in commissioni d'esame e di laurea. Ma il lavoro stabile e fisso che avevo vinto si trovava al fronte. Non mi mancava il riconoscimento dell'importanza sociale, culturale, etica, del lavoro che ero chiamata a fare, mi mancava la consapevolezza delle mie forze o, meglio, vedevo che le mie forze non erano affatto adeguate al compito.  
Ho cercato una via di scampo. Volevo tenacemente sopravvivere al mio lavoro, volevo tenacemente essere una persona sana, volevo tenacemente lavorare con soddisfazione. Sono scappata con una conversione a U di nuovo verso l'università, una via di fuga da quella che vedevo come una condanna alla prigione per i futuri 35 anni. Sono stata via 3 anni solari esatti: 3 anni di dottorato di ricerca. Naturalmente questo ha suscitato le ire eterne dei genitori e del preside. 
Oggi, che sono passati altri 3 anni dalla fine di quel dottorato, posso dire che ho fatto benissimo. Ho avuto 3 anni per studiare, per approfondire la mia formazione, anche come insegnante, per scrivere, sperimentare, ricercare, conoscere e fare esperienze, ma la cosa più importante è che ho avuto 3 anni per crescere.

La mia nuova esperienza l'avete letta nel centinaio di racconti che vi ho fatto in questo blog.
Non so se la classe che ho incontrato al mio rientro a scuola era migliore di quella che avevo lasciato, o se erano solo un po' più grandi di età, e mi terrorizza il pensiero che il prossimo anno dovrò ricominciare da zero con un'altra prima. Ho paura che quell'incubo ritorni. 
Cerco però di tenere a mente, con un "tatuaggio mentale" come dico ai miei bambini, una frase di Don Milani che ho letto qualche mese fa:
"Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola e come faccio a averla piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo, che io precisi i programmi, le materie, la tecnica didattica. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola".
(Don Lorenzo Milani, Esperienze pastorali, cit. da Mario Lodi, Il paese sbagliato, To, Einaudi, 1970, p. 26)

Forse in questi anni, dopo essermi chiesta a lungo come bisognasse fare, ho cominciato a provare ad essere.

lunedì 23 aprile 2012

Piccoli lombrosiani

In questi giorni dobbiamo fare l'articolo di giornale. Naturalmente sul libro ci sono delle pagine che spiegano dove si posizionano gli articoli in prima pagina, come si chiamano le varie parti del testo e via dicendo. Naturalmente ho fatto portare i quotidiani in classe.
Ore 8.05 tutti sfogliano i giornali come fossimo nel baretto dell'azienda. Un piccolo gruppetto commenta assieme le prime pagine:
- Ah, ma guardate questo che faccia!
- sì è vero!
- Ma come si fa a fidarsi di uno che ha la faccia così?!
- Ma guarda che faccia!
(ridono)
Notizia: "Belsito restituisce i soldi e i diamanti".

(chi volesse esprimere la propria opinione in merito può vedere queste foto)

venerdì 13 aprile 2012

Salvare capra e cavoli

L'altro giorno è arrivata una circolare che sembrava una minaccia: il servizio di pulizie con la ditta esterna è stato sospeso, per mancanza di fondi, da un giorno all'altro, di conseguenza i bidelli devono dedicarsi alle pulizie invece che al resto. La circolare ci spiega, in soldoni, che dobbiamo arrangiarci: lasciare le aule pulite, non mandare bambini in bidelleria, non richiedere la presenza dei bidelli nelle classi per sorveglianza. Parlando con i bidelli è emerso che non avrebbero avuto più personale o possibilità di avere dei turni straordinari retribuiti. La segreteria è già stata sguarnita a inizio anno. Ricordo, a chi non lo sapesse o non lo ricordasse, che la Mariastella aveva abolito le compresenze di noi insegnanti.
Il risultato di tutto ciò è che, come giustamente mi ha fatto notare mia madre, quando la famiglia consegna il bambino a scuola non lo consegna più a un'istituzione, ma lo consegna alla responsabilità esclusiva del singolo insegnante. Tradotto in pratica: se un bambino si sente male non posso mandarlo a misurarsi la febbre; se un bambino non si sente bene non posso accompagnarlo in bagno, se vomita non si sa se c'è qualcuno per pulire; se io non mi sento bene non posso andare in bagno; non posso ricevere assistenti sociali, logopediste o psicologhe durante l'orario di lavoro... In sostanza non siamo in grado di gestire nessun imprevisto. Quello che mi viene chiesto è di essere la sorvegliante esclusiva (in alternanza con la collega) dei miei 25 bambini.
Per fortuna noi abbiamo in classe l'insegnante di sostegno per 12 ore a settimana, ma non tutti hanno questa fortuna.

Piccolo caso concreto: un mio alunno si è fatto male al ginocchio e non può fare le scale ma deve prendere l'ascensore. Noi stiamo in terzo piano, lui non può prendere l'ascensore se non accompagnato da un adulto, io non posso chiamare bidelli, io non posso lasciare da sola la classe.
In pratica ci sembra di vivere costantemente in quell'indovinello dove ti chiedono di portare dall'altra parte del fiume, in presenza di un lupo, la capra e i cavoli.
Forse da insegnanti vogliono trasformarci in pastori?