giovedì 29 settembre 2011

Quattordicesimo giorno, ad alta voce

Oggi cinque ore belle piene di lezione. Si comincia giocando con sinonimi e contrari: scegliamo dal libro un testo breve (una barzelletta) e proviamo a sostituire 10 parole con 10 sinonimi e a rileggere il testo... è diventato più ironico. Poi sullo stesso testo sostituiamo 10 parole con 10 contrari. Prendendoci qualche libertà il contrario di figlio diventa padre, una giovane coppia diventa vecchia e una casa viene ricostruita da una calma di vento: ecco un nonsense.

Verifichetta di lettura e comprensione di quelle, come diciamo, che sono quasi offensive per quanto sono facili: mezza paginetta di testo e 9 frasette sulle quali mettere vero o falso. Si corregge assieme con penna rossa e si mettono i voti da soli (sì, mi fido, e quando controllo vedo che ho ragione a fidarmi) risultato: 24 hanno preso 10 e uno 7/8. Le bambine del primo banco mi chiedono “Ma perché ci dai delle verifiche così facili?” rispondo sottovoce che è per poter dare un sacco di 10. In realtà sono verifiche che prendo da una guida per insegnanti per la classe V, tanto per vedere ogni tanto se le mie tecniche funzionano anche con verifiche strutturate in maniera molto diversa da come loro sono abituati a lavorare. Oramai devo pensare al fatto che il prossimo anno non so in quali mani finiranno...

È un po' che mi chiedono di leggere dal libro di lettura. Come ho già raccontato (un metodo sicuro per far leggere i bambini) noi oramai leggiamo i libri “veri”, quindi tendo a trascurare il libro di lettura. O meglio, lo uso solo per fare a pezzi i testi. La mia filosofia prevede una netta distinzione: i libri “veri” non si possono fare a pezzi, vanno gustati, assaporati, discussi, condivisi; i testi del libro di lettura (già fatti a pezzi) possono essere invece usati per esercizi, analisi, scomposizioni, riscritture. Oggi usiamo un testo per esercizi approfonditi di lettura espressiva. Si prende in mano il libro e si legge in piedi. Cominciano i volontari, la lettura deve essere espressiva, cioè deve non solo tener conto della punteggiatura, ma soprattutto del significato di ciò che leggiamo. Ne approfitto per passare sottobanco a loro insaputa anche un po' di lavoro sulla fonologia (occorre articolare bene le parole, scandire le lettere). Quando si sentono un po' più a loro agio spiego che per leggere bene possono usare anche il tono, il ritmo e il volume della voce. Come leggeremo “camminando silenziosamente nel bosco”? più lentamente e sottovoce di quanto precede! Incominciano a sentirsi sicuri e si propongono per provare letture recitate, con vocione da cacciatore o da inglese emigrato. Ridono fino alle lacrime quando Antonio, il più piccolino, prova la voce grossa del rude cacciatore.
È il momento giusto per spiegare che non stiamo perdendo tempo ma stiamo facendo un esercizio molto utile. Racconto che quando studiavo nella mia camera da sola, se mi annoiavo troppo cominciavo a leggere ad alta voce con strane vocine o ritmi o canzoncine. Era un mio gioco sciocco, al quale non davo troppo peso. Il giorno della maturità venne fuori che il presidente della commissione era fissato all'esame orale con la lettura ad alta voce della Divina Commedia. Mentre aspettavo il mio turno, fuori dall'aula magna del liceo si era già sparsa la voce: vuole che si legga ad alta voce! E non è mai contento di come si legge! Nessuno faceva più caso a come leggevamo dai tempi delle elementari. In quel momento non ero consapevole di quanto allenamento involontario avessi fatto negli anni di studio, fatto sta che dopo la mia lettura ad alta voce il presidente disse “Finalmente qualcuno che legge bene!”

Il quaderno delle cose belle oggi è andato a ruba: hanno voluto scrivere in otto!
Vi copio due frasi:
- Oggi abbiamo fatto i sinonimi e i contrari e ci siamo divertiti a cambiare le parole di un testo
- Oggi abbiamo letto un testo e abbiamo letto quasi tutti, ha letto Antonio con una vocina bella e ci ha fatto ridere! È stato molto bello!

martedì 27 settembre 2011

Dodicesimo giorno, la sig.ra Pina e Italo Calvino

Oggi grande apprensione per la prevista verifica di storia: bambini in corridoio che ripassano dal libro o dagli schemi, entrano in classe silenziosi e già si preparano separando i banchi. Dopo il buongiorno distribuisco le 15 domande alle quali possono rispondere senza limiti di spazio su fogli quadrettati; prevedo un tempo limite di circa un'ora e 30. Scrivono come matti e man mano che vedono aumentare lo spessore dei fogli che dovrò correggere sghignazzano divertiti. Io sto al gioco e mi dispero pubblicamente: ci vorranno interi pomeriggi per correggere tutto!

Dopo il riposo la bidella ci consegna una circolare con un testo da dettare sul libretto:
“Per ragioni di sicurezza è vietato l'accesso ai cortili della scuola con automobili e/o motociclette, ad eccezione dei casi autorizzati in forma scritta dal Dirigente scolastico; la dirigenza scolastica declina ogni responsabilità in caso di incidente provocato o subito dai trasgressori. Al termine delle lezioni i genitori e gli alunni sono invitati a defluire rapidamente dall'area scolastica”.

Nel corso della dettatura mi vengono rivolte molte domande: ma che cosa vuol dire? ma quali cortili? Non c'è un cortile solo? che cosa vuol dire declina? ma cosa vuol dire defluire? Dico di aver pazienza e di farmi finire di dettare.
In una situazione simile l'insegnante può reagire in tre modi:
a) dire ai bambini che non sono cose che li interessino e che capiranno i genitori quello che devono capire
b) spiegare rapidamente che si tratta del fatto che non bisogna andare con macchine o motorini nel cortile
c) fare lezione sulle varietà dell'italiano partendo dalla circolare.
Naturalmente essendo Cappuccetto Rosso sono un'insegnante del tipo C. D'altro canto avevo deciso di parlare un po' del lessico oggi, e mi pare che questa circolare, tra le altre cose, ci dia ottimi spunti anche in questo senso. Ricordo che, come abbiamo visto in IV, ci sono diversi modi di usare la lingua italiana a seconda delle situazioni e delle persone che parlano, oltre che degli argomenti trattati. Qualcuno propone la parola “gergo”, un altro dice “linguaggi settoriali”, cerchiamo di capire che cosa sono. Racconto che un grande scrittore, Italo Calvino (Ah, sì, certo lo conosco! esclamano due o tre), del quale quest'anno leggeremo di sicuro qualche cosa, ha scritto anche dei saggi e che in uno di questi saggi ha detto che chi scrive in modo inutilmente complicato e oscuro uccide la lingua. E perché uccide la lingua? Per che cosa è fatta la lingua? E loro rispondono che è fatta per comunicare, e allora io dico che se non comunica è come una macchina che non funziona, come una radio che gracchia, dalla quale riesco a sentire solo qualche parola.
Poi passiamo all'esercizio: tradurre il testo burocratico in un italiano normale, in una lingua che possa capire anche la nonna Pina, la signora analfabeta che l'anno scorso ho incontrato in treno (Ah, sì è vero, ce l'hai raccontato: c'era la nipote di 6 anni che le leggeva i cartelli delle stazioni, e lei pensava di essere vicino a Roma e invece era appena a Venezia). Si meravigliano all'idea che si possa tradurre dall'italiano all'italiano e allora spiego che un testo scritto in burocratese è come un'arancia aspra: se la mangio mi disgusta; loro devono fare in modo di rendere l'arancia dolce e matura, mantenendo la buccia, i semi e la polpa, non devono lasciare per strada nessuna informazione. E dopo l'immagine dell'arancia (è la stessa che ho usato per spiegare il riassunto: è il succo dell'arancia) al lavoro perché il tempo è poco.
Antoine finisce per primo e mi consegna questo testo:
“Per motivi di sicurezza non si può andare nel cortile della scuola con macchine o motociclette, tranne se si ha il permesso scritto del direttore. Il direttore non ha colpa in caso di un incidente fatto dalle persone che non rispettano le regole. Alla fine delle lezioni i genitori e gli alunni devono andare via rapidamente dalla scuola”.
La signora Pina è finalmente in buone mani.

La motivazione psicologica dell’antilingua è la mancanza d’un vero rapporto con la vita, ossia in fondo l’odio per se stessi. La lingua invece vive solo d’un rapporto con la vita che diventa comunicazione, d’una pienezza esistenziale che diventa espressione. Perciò dove trionfa l’antilingua – l’italiano di chi non sa dire ho «fatto», ma deve dire «ho effettuato» – la lingua viene uccisa. (Italo Calvino, L'antilingua)

lunedì 26 settembre 2011

Loro sparecchiano

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Io (non) mangio

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Undicesimo giorno, noi mangiamo così.

Dicono che quando si mangia si dovrebbe essere rilassati e concentrati sul cibo. Dicono che sono importanti molte cose come: la posizione, l'ambiente, l'illuminazione, la presentazione, il colore dei piatti, il profumo delle pietanze, l'accostamento dei colori, i suoni, la compagnia.
Dicono che chi ha difficoltà digestive dovrebbe mangiare con calma, prendendo tutto il tempo necessario.

La mensa è un'altra delle matite spuntate nella mia scuola, è quindi il prossimo obiettivo della rivoluzione delle matite (per il primo obiettivo conquistato vd. qui e qui). Il nuovo territorio da conquistare si presenta così: stanzone con porte-finestre sul cortile contenente 9 tavoli per bambini, un tavolo per le maestre. Devo mangiare con 50 persone, 49 delle quali sono bambini. Con l'unico adulto di solito non riesco a comunicare, anche se mi siede accanto, a causa del forte rumore. Se riesco vi posto il file audio dell'esperienza. Devo mangiare cibi trasportati in camion in contenitori di polistirolo, cibi che quindi sono inesorabilmente stracotti (mai visti i conchiglioni raggiungere simili dimensioni e mollezze!)
La prima mossa della battaglia è quella di convincere i bambini a fare meno rumore. Adotto la tattica della “spinta dolce” che ho adottato per i bagni. Faccio nuovamente un bel discorso motivazionale e faccio disegnare un cartello da plastificare: “Tavolo delle bambine e dei bambini beneducati”. Spiego che lo metterò sul primo tavolo e si sederanno solo i volontari che se la sentono di comportarsi benissimo, che significa: mangiare composti e senza alzare la voce, sparecchiare e gettare le immondizie, rimettere a posto le sedie dopo alzati. Il primo giorno l'esperimento funziona, sono stati così bravi e ordinati che meritano un premio (tra i primi volontari c'è Alan, che salta di gioia quando realizza che avrà in premio un doblone). Mi sembra anche che ci sia una sorta di “effetto alone”, almeno nel tavolo subito vicino, mi sembrano più composti e meno scalmanati. Dopo qualche giorno metto un cartoncino colorato su un altro tavolo. Oggi l'effetto alone si è talmente allargato che i bambini hanno voluto sparecchiare tutti i loro quattro tavoli. Da mercoledì mi fiderò a mettere il cartello su tre tavoli e lasciarne fuori solo uno. Saranno loro a chiedermi di potersi comportare tutti da bambini educati. Poi spero che riusciranno a coinvolgere l'altra classe.

Vi aggiorno sui bagni: oggi panico in corridoio perché i due bagni conquistati alla causa si erano intasati. Qualcuno, senza sapere che avrebbe creato danni, ha usato la carta per le mani anziché quella igienica. Abbiamo passato ore di tensione e preoccupazione, ma poi il bidello, molto più gentile e disponibile del solito, ci ha dato una mano. E' proprio il caso di dirlo!

Io studio: grammatica

Il tempo per studiare è sempre troppo poco.
Questa mattina ho qualche oretta da dedicare alla grammatica prima di andare a scuola. Ho trovato questo video Sabatini spiega la grammatica valenziale
Lo trovo molto chiaro. Tenete presente che il libro è dedicato al biennio delle superiori. Però il percorso sul nucleo, circostanti ed espansioni lo possiamo fare anche noi alle elementari. E con ottimi risultati: Arlette è passata dal 5 al 9 in grammatica, quando, l'anno scorso, abbiamo cominciato a disegnare i cerchietti dei nuclei!
Potete anche leggere questi due libretti della Carocci:
Le parole dentro di noi
Grammatica e fantasia
Buono studio!

venerdì 23 settembre 2011

Decimo giorno, venerdì nero

Ricominci l'anno con il massimo dei buoni propositi, con tutta la creatività e la buona volontà, con un carico di energia positiva e di ottimismo; lo fai per allontanare quel giorno che sai che, presto o tardi, arriverà, quel giorno in cui, per la prima volta nell'anno, perderai le staffe. E dopo essere scivolato nell'abisso della rabbia, della ramanzina, delle sgridate, ti ricordi che è un pericolo sempre in agguato, che resistere, da ora in poi, sarà sempre più difficile, richiederà sempre più concentrazione.
Per quest'anno quel giorno è arrivato oggi. Ho resistito 9 giorni e il decimo mi sono arrabbiata. Come spesso avviene, la rabbia ti assale perché si accorge che sei debole, e sei debole o perché sei stanco o perché sei spaventato, oppure tutte e due le cose, come è successo oggi.
Quando arrivo alle 12 tento di organizzare una quarantina di minuti con qualche esercizio semplice e divertente di italiano: le catene di parole. Impiego venti minuti solo per metterli seduti, far prendere i quaderni, spiegare l'esercizio. Nel frattempo loro sono come i moscerini che girano al centro della stanza: si alzano, navigano per la classe, prendono, portano, commentano, ridono, mi chiedono di parlare dei frammenti che dallo spazio ci cadranno sulla testa. Non si riescono ad avere due minuti di silenzio per spiegare. A fatica riesco a far partire l'esercizio, che loro svolgono nella confusione. Poi è impossibile ottenere non dico la fila, ma un sistema decente per scendere la scale. Mangiamo (mangiano), andiamo in cortile, risaliamo le scale fermandoci ad ogni rampa per ricomporre il gruppo. Poi andiamo in bagno a lavarci i denti. Chi finisce prima chi dopo.
Quando rientro in classe mi prende un colpo. Ed è in quel momento, in cui già sono stanca, che mi spavento. E la rabbia, che mi aspettava acquattata sotto la cattedra, mi si aggrappa alla schiena con le sue zampe pelose.
Daniele è davanti alla finestra aperta, ha le mani appoggiate al davanzale, i piedi sollevati da terra e si sporge per guardare di sotto.
E allora mi esce un grido disumano (è la bestia pelosa che grida): “DAAANIEEELEEE!” e grido per farlo sedere su una sediolina vicino alla cattedra e grido per far sedere tutti gli altri ai loro posti e grido per spiegare che non è possibile che si impara a due anni due che non si può sporgersi dalla finestra aperta e grido che questo significa che non ci si può fidare e che allora dovrò tenere le finestre chiuse e che mi ha fatto venire un colpo e che per fortuna ho la pressione bassa così non rischio l'infarto e che lo sanno tutti che la testa è la parte più pesante del corpo e che e che e che.

Ci resta solo un'ora per fare la bella attività di arte e immagine che avevo previsto. Mi calmo, provo a farmi tornare un umore decente. Non riescono a fare una parvenza di fila neanche per uscire.
Quando arrivo a casa ho la nausea dalla stanchezza. La rabbia quando ti assale ti consuma e poi ti getta a terra privo di forze. Rotolo dal divano al letto. Dormo. Bevo un tè. Scrivo.

Forse adesso sono pronta per cominciare il fine settimana.
Oggi c'è la notte dei ricercatori in città, ho consigliato ai miei bambini di andarci, forse li incontrerò.  

giovedì 22 settembre 2011

Nono giorno, tre cose belle.

Il primo capitolo del volume 59 secondi. Pensa poco, cambia molto di Richard Wiseman è dedicato nientepopodimeno che alla felicità. Pare che studi di psicologi americani abbiano dimostrato che l'esercizio alla gratitudine per quanto di buono già abbiamo faccia un gran bene al nostro stato d'animo. Il suggerimento è quello di scrivere ogni giorno 5 cose belle che si sono verificate in quella giornata.
Abbasso leggermente il tiro e decido di creare il “Quaderno delle cose belle” per la nostra classe. Un diario di bordo nel quale chiunque può scrivere (firmando oppure no) e nel quale vorrei vedere scritte ogni giorno almeno 3 cose belle. Penso che da 25 alunni dovrebbero emergere almeno 3 cose belle legate alla giornata passata a scuola.
Devo dire che un esercizio che sembra così semplice si è invece rivelato un po' difficile: non ci ricordiamo di scrivere sul diario ogni giorno. Anche io me ne dimentico!
Questo è già interessante: spesso non ci ricordiamo di prendere almeno 3 minuti di tempo per realizzare che siamo contenti. Li prendo adesso.

Tre cose belle sul mio lavoro di quest'anno:
1. Marta, che è tornata a frequentare ad orario pieno, che non viene più ricoverata un giorno a settimana, che gioca e sorride;
2. Alan, che fino ad ora non è scappato dalla classe e non ha preso a calci la porta;
3. Il quartetto delle mie fan, che quando mi vedono dopo le vacanze mi stringono da farmi cadere e non mi mollano più, e che quando mi incontrano per strada mi fanno una festa come se fossi la loro cantante preferita
(4. Michele che risponde alle domande di grammatica prima che io cominci a formularle).

Sul “Quaderno delle cose belle” sotto la data di oggi qualcuno ha scritto:
“Oggi abbiamo inventato storielle con le parole polisemiche”.
(5. Aver scoperto che i miei bambini sanno inventare barzellette proprio divertenti!)

mercoledì 21 settembre 2011

Sig. Scopino

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Ottavo giorno, che musica maestro!

Ogni giorno a inizio turno vado a controllare le posizioni conquistate (vd. bagni), cioè faccio un giro in bagno. Mi sembra tutto abbastanza a posto. Nei riposi osservo che i gabinetti più usati sono quelli che abbiamo decorato con i disegni. Oggi alle 15.30 un bambino torna in classe allarmato: “Hanno rovinato il signor scopino! È pieno di piramidi di cacca!” Tutti vorrebbero correre fuori dall'aula a vedere che cosa è successo. Cerco di mantenerli calmi e dico che andrò  a vedere da sola. Intanto tra me e me penso incredula a chi potrebbe mai aver commesso un simile atto vandalico ai danni di tutti. In bagno c'è un altro bambino che mi fa vedere il corpo del reato. In realtà “il signor scopino” è semplicemente sporco, niente piramidi di escrementi. Sono sollevata, ma mi nasce un dubbio: chi pulirà il signor scopino? Le signore delle pulizie si rifiuteranno di collaborare?


Dedichiamoci ora a pensieri più elevati. Ieri pomeriggio ho seguito un corso di aggiornamento di musica. Oggi pomeriggio provo ad applicare qualche suggerimento. Ci è stato spiegato che l'ascolto è più efficace se i bambini partecipano in qualche modo con il corpo alla musica. Ho portato i concerti brandeburghesi di Bach. Abbasso le veneziane e creo un'atmosfera riposante, poi accendo la musica e dico che possono far finta di dirigere l'orchestra con le mani, poi faccio chiudere gli occhi e dopo un po' permetto di muovere anche il busto a ritmo di musica. Quando si sono lasciati prendere dalla musica, dico che possono alzarsi e camminare per la classe sempre a tempo di musica. Mi sembrano contenti dell'esercizio. Ce ne sono 3 o 4 che non sono capaci di lasciarsi andare: non chiudono gli occhi, devono sempre guardarsi in giro invece di concentrarsi sul proprio corpo, fanno movimenti non armoniosi. Poi li faccio sedere e prendere fogli e colori: possono tracciare segni colorati muovendo la mano a tempo di musica.
Ora il fondo della classe è coperto di fogli colorati che agli altri possono sembrare scarabocchi, ma per noi sono i ritmi di Bach.

Settimo giorno, ortografia.

Mi chiedo perché ogni volta che arriva qualche nuovo bambino in classe ha sempre problemi con l'ortografia. Le mamme li chiamano genericamente “problemi con l'italiano”. Sono in realtà evidenti problemi con l'ortografia. L'idea che insegnare e imparare italiano significhi insegnare e imparare l'ortografia è diffusissima presso i genitori. La grammatica è un ricordo sfuocato, la lettura e la scrittura romantici accessori; l'unica cosa tangibile dell'italiano è l'ortografia: una sorta di abilità di calcolo della lingua. Oggettiva, evidente, scientifica: o è giusto o è sbagliato.
Quando i nostri bambini finiscono le elementari ci si aspetta che la questione sia definitivamente risolta. Per un prof delle medie, delle superiori, dell'università, posare la penna su un errore di ortografia è una cosa disgustosa e fare esercizi con la classe su come si scrivono le parole viene ritenuto offensivo per l'insegnante. Si prende semplicemente atto di una realtà desolante, si assegnano insufficienze e si riempiono i giornali di lamentele sui tempi moderni. I colleghi prof scuotono la testa: i nostri bimbi quando arrivano da loro fanno ancora molti errori molto gravi (alzata di sopracciglio: non vi accusiamo, ma voi maestre dovreste lavorare di più). L'ortografia resta un compito solo nostro, d'altro canto siamo noi “le maestrine con la penna rossa”.
Cari colleghi, occorre sporcarsi le mani con l'ortografia e risporcarsele ogni volta che è necessario. Io ho dedicato una lezione per gli studenti dell'università ai più diffusi errori ortografici di scriventi adulti. Senza imbarazzi e senza vergogne e ritenendo, in realtà, che l'ortografia sia la parte meno complessa dell'imparare a scrivere correttamente.

I miei bambini producono un numero limitato di errori di ortografia, che giudico in linea con il loro sviluppo. Quelli che mi piombano da altre scuole ne producono di più. Potrei cominciare a rotolarmi scompostamente nel fango, riempire di segni i loro compiti, confidarmi con le colleghe, lamentarmi con i genitori: “Ma che cosa imparavano nell'altra scuola, signora? Qui ci sono delle enormi lacune!”
Martedì dettato con i punti (ogni errore tolgo un punto) che ha tutta una procedura di gioco un po' lunga da illustrare (se la volete scrivete un commento e vi metto un post solo su questo). Una delle due nuove arrivate fa moltissimi errori, errori di quelli che da noi non si vedono da un bel po'. La osservo anche quando scrive un testo al computer: niente accenti sui passati remoti, “c'era” che diventa “cera”, doppie che saltano.
Rivedo le stesse scene che ho visto un anno fa e due anni fa, quando sono arrivati bambini da altre scuole, sempre presentati dicendo “ha un po' di problemi con l'italiano”.
Ripeto anche questa volta la procedura:
1. analisi: perché fa molti errori, quali errori fa, in quali momenti (confronto scrittura formale/ informale per verificare il fattore psicologico “ansia”).
Ho individuato così due disortografici che nelle altre scuole o classi non erano stati riconosciuti, per altri due ho capito che si trattava di mancanza di esercizio continuo, di correzioni e autocorrezioni;
2. piano d'attacco personalizzato e richiesta di collaborazione da parte della famiglia.
Per raccogliere i risultati ci vuole almeno qualche mese, in un anno la situazione può stabilizzarsi, ma certo è stato perso del tempo prezioso.

La correttezza ortografica non sboccia spontanea come i fiori primaverili ma è una meta da conquistare faticosamente e da riconquistare di continuo. Grande fatica per chi insegna, per chi apprende e richiesta di collaborazione attiva da parte della famiglia.
Io ho osservato che l'ortografia migliora nettamente con questo sistema. Oltre a spiegare le difficoltà ortografiche ci vogliono questi ingredienti:
- articolazione delle parole molto corretta e attenta da parte dell'insegnante (la fonologia è importante!),
- giochi per esercitarsi con l'ortografia (almeno una volta a settimana),
- stimolo all'auto-correzione (sottolineo la parola sbagliata e loro si sforzano di capire perché e di scrivere quella giusta)

Non è mai troppo tardi per imparare a scrivere correttamente, ma ci vogliono occhio, orecchio ed esercizio.

lunedì 19 settembre 2011

Sesto giorno, si fa storia: che risate!

La scorsa settimana ho fatto scrivere a ciscuno su un foglietto molto informale quali fossero i desideri per questo anno scolastico. Ho spiegato che si trattava di una domanda seria alla quale bisognava rispondere seriamente, non con assurdità del tipo “fare sempre vacanza” o “avere un riposo lungo 8 ore”. 
Ho scoperto, sommando le risposte, che vorrebbero fare più di tutto: più gite, più disegno, più storia, più schede, scrivere di più (ma qualcuno scrivere di meno), leggere di più, scrivere più testi al computer...
Molti hanno scritto che vorrebbero fare più storia. Amano moltissimo fare storia, anche se facciamo storia in un modo molto semplice: leggiamo il libro e commentiamo, facciamo paralleli con quello che abbiamo già studiato o con quello che accade oggi, ragioniamo sulle conseguenze di quanto abbiamo letto. Credo che amino fare storia perché si sentono molto bravi. E credo che si sentano molto bravi perché in questo ultimo anno e mezzo abbiamo fatto assieme un percorso graduale a tappe per imparare a studiare. Abbiamo cominciato in III leggendo dal libro. Leggo io ad alta voce, perché ho in classe bambini dislessici per i quali è fondamentale la memoria di quanto hanno sentito in classe, quindi una lettura con la giusta intonazione è vitale. Ciascuna fase è durata dei mesi, finché tutti non sono diventati padroni della tecnica di studio presentata.
Per cominciare io leggevo e guidavo alla ricerca delle informazioni principali da sottolineare sul libro, poi hanno cominciato a trovarle da soli; nella seconda fase con le informazioni sottolineate costruivamo gli schemi di quanto letto, prima assieme e poi da soli; nella terza fase abbiamo cominciato a fare i riassunti di quanto scritto sul libro. E fin qui può sembrare tutto normale. Abbiamo poi cominciato a lavorare sulle domande. Da ogni testo si posso trarre delle domande alle quali il testo risponde e sono queste le domande che l'insegnante può fare quando prepara una verifica. Quindi abbiamo cominciato a cercare le domande dentro i testi e a scriverle sul quaderno. Le verifiche a questo punto andavano benissimo e loro volevano fare sempre più storia. Poi ho cominciato a dire che potevamo aggiungere altre difficoltà: si dovevano trovare da soli le domande dai testi, inoltre si sarebbe cominciato ad avere verifiche con domande più ampie e aperte, che richiedevano risposte più lunghe e articolate. Hanno accettato la sfida e siamo arrivati alla fine della IV con verifiche di poche domande aperte e tutto lo spazio a disposizione.
Volete sapere il “contro” di questo sistema? Io dovevo correggere dalle 2 alle 6 facciate di foglio protocollo con risposte articolatissime. Certe volte ho proprio la sensazione di fare di tutto per darmi la zappa sui piedi!

Oggi, ripassando quanto letto assieme la scorsa settimana, chiedo: “Come se la passavano le donne cretesi?” Mi spiegano che erano molto libere, potevano fare sport, si truccavano e abbigliavano con cura; poi Arlette vuole specificare e comincia “Trainavano...” Completo io: “Trainavano carri guidati da buoi! o forse Guidavano carri trainati da buoi?” Tutti troviamo l'idea di “Trainavano carri guidati da buoi” molto divertente. Come da nostre “usanze” chiediamo a chi è stato all'origine di un errore ridicolo di inventare a casa un racconto buffo usando lo spunto dell'errore. Non c'è fretta, può essere scritto quando si vuole. Arlette ride e concorda: scriverà un racconto su donne che trainano carri.

sabato 17 settembre 2011

Quinto giorno, il contagio.

La caratteristica di ogni rivoluzione è che quando inizia a diffondersi subisce subito un processo di superficializzazione. Nel contagio la rivoluzione muta, e assume forme diverse e incontrollate.
Venerdì orario 8-12.
A riposo bambini che vanno e vengono dalle classi del corridoio verso il bagno armati di fogli e scotch. Sono entusiasti. Vanno all'attacco del bagno profumato e lo riempiono di altri disegni appiccicati in modo rudimentale e caotico. Invadono anche la zona lavandini. I miei bambini sono preoccupati “Maestra, ma stanno appiccicando fogli nel nostro bagno!”. Spiego che non è il “nostro bagno” ma il bagno profumato per tutti i bambini del corridoio e che sono molto contenta del fatto che anche gli altri abbiano cominciato a fare disegni. Vado a vedere che cosa sta succedendo. E capisco che cosa c'è che non va. I bambini nuovi agiscono spinti da un frenetico entusiasmo ma senza nessuna coordinazione, non c'è nessuno che li guidi. Inizio a spiegare loro (in bagno) che è meglio se usiamo i nuovi disegni per fare bello un altro gabinetto e decidiamo assieme quale può essere il migliore. Poi vedo che i disegni sono pieni di divieti, addirittura di teschi con “pericolo di morte se fai il maleducato” di “NO” scritti a caratteri cubitali. Spiego a quelli che ho intorno che la nostra idea era di fare dei cartelli divertenti e positivi, non di mettere divieti e minacce e chiedo se, per favore, fanno anche altri disegni più positivi... anziché “NON lasciare aperto il rubinetto”, “Ricordati di chiudere il rubinetto. Grazie!”. All'inizio mi guardano con gli occhi persi nel vuoto, poi qualcuno capisce e torna in classe a preparare nuovi materiali. Torno in classe dalle mie truppe scelte (che stanno facendo merenda) e spiego la situazione: bisogna spiegare agli altri bambini che volevamo mettere solo dei messaggi positivi. I più volenterosi partono per la campagna di sensibilizzazione.
Quando torno a vedere i bagni a fine turno, ci sono due bagno colorati e disegni sopra i lavandini, sono spariti i teschi e le minacce, anche se restano ancora molti divieti.

Riposo a parte si sono fatte anche le nostre belle ore di lezione. Abbiamo finalmente ricominciato i nostri viaggi a caccia dei tesori della grammatica e i primi esploratori hanno già scovato dei dobloni.
Ma questa è un'avventura che vi racconterò un'altra volta...

giovedì 15 settembre 2011

Terzo e quarto giorno, come fare felici 100 bambini con 12,20 euro e due ore e mezza di tempo

La prima battaglia della rivoluzione delle matite è stata (vd. Sei settembre: questa volta no!) quella di strappare al nemico il territorio dell'aula attraverso questi atti rivoluzionari: aspirapolvere, pulizia dei vetri, lavaggio dei pavimenti con sapone, cera sui pavimenti, lavaggio dei banchi, raccoglitori per raccolta differenziata dei rifiuti, ingresso di piccola scopa con pattumiera, ingresso di n.2 piante verdi (una per cattedra).
La strategia della rivoluzione delle matite è quella del tempera matite. Si guardano una ad una le matite, e se sono spuntate o rotte si aggiustano e si fanno le punte.

Una matita che a scuola mia è spuntata da molti anni è quella dei bagni dell'ala sinistra: sono vecchi, rotti, sporchi e puzzolenti. Sono molti anni che le insegnati chiedono in collegio docenti che vengano riparati e puliti con maggior cura e frequenza. Non c'è stato nessun risultato, si sono solo ottenute delle reprimende presso i bambini che, si dice, dovrebbero imparare a essere più educati. Personalmente trovo che l'intero genere umano dovrebbe imparare a servirsi dei bagni in maniera più educata, basti pensare a stazioni, autogrill, bar, treni, sebbene usati da adulti mi risulta che siano molto di rado splendenti.
Nell'ala sinistra ci sono tre piani e quindi tre batterie di bagni, ciascuna ha 5 WC. Ciascuna batteria di bagni è frequentata da circa 100 bambini per 8 ore al giorno. I bagni vengono puliti solo a fine giornata. Per alcuni bambini non avere un bagno decente a disposizione è fonte di un vero e proprio stress, in certi casi si è arrivati a cistiti o mal di pancia. Ai bagni dell'Ikea troverebbero un servizio migliore.

Si è deciso: il prossimo obiettivo della rivoluzione delle matite sono i bagni.
Ne ho parlato con la mia classe. Ho spiegato che siamo oramai in quinta, che sono una classe di bambini molto bravi e che quindi possono dare il buon esempio agli altri e fare qualcosa per la loro scuola. Bel discorso motivazionale, 50 occhi sbarrati e quasi visibile il raddrizzarsi delle loro schiene e il gonfiarsi dei loro petti. 
Dopo che li ho gonfiati come palloncini, posso mollare il filo e svelare la mia idea: potremmo ad esempio fare qualche cosa per rendere bellissimo un bagno.
Spiego che è dimostrato che se un posto è bello le persone che lo frequentano si comportano meglio, che se si incentivano le persone a comportarsi bene divertendosi e ridendo (invece che gridando loro divieti) tutto funziona molto meglio. Quindi basta sgridare e vietare, dobbiamo vedere le cose positivamente, così anche gli altri si comporteranno positivamente.
È la teoria della spinta gentile, ma questo non lo spiego alle mie 25 giovani menti.
Ad ogni modo trovano il mio ragionamento intuitivo e sono già convinti. Presento le mie idee: rivestire la porta con cartelloni esplicativi e preparare dei quadri da appendere dentro il bagno. Chiedo se hanno altri suggerimenti. In molti gridano: “Manca lo scopino!”
Orribile realtà alla quale noi adulti non avevamo mai fatto caso! Come avrebbero potuto essere puliti se non avevano il modo di pulire? Altri propongono un profuma ambienti. Prendo l'impegno di procurare gli oggetti desiderati. Nel pomeriggio compro uno scopino in plastica e una cartina profumata a base di olii essenziali naturali. Totale della spesa 12,20 euro.
Il giorno dopo abbiamo un'ora di italiano, il pranzo e il pomeriggio nel quale è previsto di fare “Arte e immagine”. Da quando mi hanno vista mi hanno chiesto impazienti “Oggi facciamo il bagno?” “Sì? che bello! sono felicissima!”. Dopo il pranzo e il cortile torniamo in classe pronti per l'attività di “Arte e immagine”, tutti seduti e attenti, pronti a dare il loro contributo alla storia della scuola. Appoggio la borsa che ho con me sulla cattedra e annuncio: “Voi avete chiesto una cosa e io ho mantenuto la promessa” e tiro fuori dalla borsa lo scopino. Applausi e urla di gioia, evviva che si levano da ogni parte. Credo che non avrei visto una gioia simile neppure se avessi tirato fuori dal sacco Babbo Natale in persona invece di uno scovolino per pulire il gabinetto. Grande entusiasmo. Mostro anche la cartina deodorante e fioccano altri applausi a scena aperta.
È il momento di organizzare i gruppi di lavoro: sei bambini si occupano del cartellone che deve rivestire il fuori della porta, altri sei di quello che metteremo all'interno, altre coppie di bambini preparano quadri e vignette spiritose, due bambine preparano un cartello “Libero/occupato” che faremo plastificare e appenderemo con un cordoncino alla maniglia. La classe è pervasa da un'agitazione costruttiva: sono preoccupati di fare le cose al meglio e allora cancellano e ricancellano le scritte in matita e protestano se qualche compagno non ha colorato con la massima cura.
Intanto io con un pennarello indelebile preparo una sorpresa: lo scopino, tanto atteso, può diventare un qualche buffo personaggio sorridente. Scopino sulla cattedra e pennarello rosso, largo all'immaginazione. Quando lo vedono finito sono esclamazioni di sorpresa e processioni per venire a vedere lo scopino che ride e provare e riprovare ad aprirlo e chiuderlo. È quasi ora di uscire e non abbiamo ancora finito. Finiremo il giorno dopo.
Questa mattina non pensavano ad altro: finire il bagno. Di solito dedico le prime due ore della mattina alle attività più impegnative che ho programmato per quella giornata. Ma mi rendo conto che è impossibile posticipare la fine della nostra opera. Un bagno pulito val bene che gli si dedichi un altro po' di tempo. A turno si dedicano a completare i cartelloni e i quadretti, intanto gli altri eseguono individualmente esercizi di ortografia che poi correggeremo collettivamente. Man mano che i materiali sono pronti io vado ad attaccarli.
La battaglia comincia rivestendo la porta: la porta grigia e scrostata diventa colorata e annuncia “Bagno delle bambine e dei bambini beneducati”, “Entra solo se sai fare centro”, “Bussa prima di entrare”. All'interno si legge invece “Bravo! Hai scelto il bagno più bello!”, “Cerca di fare centro! (illustrazione: bersaglio dentro un WC)”, “Non pensare di essere un pompiere”. Dentro vengono appesi quadretti illustrati incollati su cartoncini colorati “Ricordati di usare lo scopino”, “Sei stato molto bravo! Grazie!”. Poi una piccola opera d'arte: una vignetta tratta dalla loro agenda Comix che fa il caso nostro e che è stata copiata con cura eccezionale da Alan e colorata da Michele.
Completo l'opera con la carta d'Eritrea profumata e con il nostro personaggio “Lo scopino che ride”. Tutto pronto. Possono venire in sei alla volta a vedere il risultato. Mi metto da parte e li osservo: stupore, meraviglia, riso, gioia.
Torniamo in classe e ci dedichiamo alla correzione e alla discussione degli esercizi di ortografia e al ripasso di grammatica.
Come cacciatori che hanno posizionato una trappola dobbiamo aspettare pazientemente che arrivi il momento giusto: alla ricreazione le altre classi del corridoio vedranno la nostra sorpresa. Quando gli altri finiscono di fare lezione andiamo a raccontare che cosa abbiamo fatto, raccontiamo che abbiamo fatto un regalo per i bambini del piano e che chiediamo la loro collaborazione per tenere il “nuovo” bagno pulito, raccontiamo che troveranno un nuovo buffo personaggio. Riceviamo applausi, ringraziamenti e cominciano i giri turistici al “bagno profumato”. I bambini delle altre classi mi incontrano in corridoio e mi dicono con sguardo sognante “Maestra! È bellissimo!”, “Che bello!”, “Sai che noi abbiamo raccolto le cartacce dal cortile?” chiedono la mia approvazione... “Bravissimi! Siete stati proprio bravi!” Rispondo.
Dopo il riposo torniamo a fare lezione, è il momento di fare storia. Alle 12 arriva una delegazione dei bambini di IV: vogliono farci vedere i disegni che hanno fatto loro con battute e scherzi per tenere i bagni puliti. Quando diciamo che sono stati molto bravi tornano in corridoio saltellando felici.

Oggi festeggiamo una facile vittoria. Da domani l'impegno sarà quello di mantenere le posizioni conquistate e pensare ai nuovi obiettivi.

martedì 13 settembre 2011

Secondo giorno, un metodo sicuro per far leggere i bambini

Il mio orario del martedì prevede 8-13, quindi oggi mangio a casa (W!). È la prima mattina che faccio quest'anno, e la mattina è un'altra cosa rispetto al pomeriggio.
Ricominciamo con una delle nostre usanze preferite: il buongiorno. Ogni volta che ho la mattina, una volta sistemati zaini e quaderni, tutti si siedono al posto, in posizione composta e guardano verso di me. Dobbiamo riuscire a stare tutti (io compresa) fermi e zitti finché non riusciamo a sentire qualche uccellino cantare dagli alberi del cortile, oppure (d'inverno) il ticchettio dell'orologio della classe. A quel punto io dico “Buongiorno!” e loro rispondono tutti assieme “Buongiorno!”
Ci vuole pochissimo tempo per fare il “Buongiorno”, quando i bambini sono allenati basta un minuto, ma cambia completamente il volto alla giornata. Il “Buongiorno” segnala il confine tra il tempo delle chiacchiere e dell'organizzazione e il tempo della lezione, fa rilassare e concentrare i bambini e, soprattutto, ci permette di sincronizzarci tutti quanti attraverso una piccola esperienza comune. Tutti hanno ricevuto lo sguardo della maestra (devo riuscire a vedere gli occhi di tutti prima di dare il buongiorno), tutti hanno ricevuto il buongiorno e la maestra è stata riconosciuta e salutata da tutti. 
Per cominciare bene la giornata ci guardiamo, ascoltiamo il nostro ambiente, ascoltiamo le nostre voci. Ai bambini piace così tanto che sono sempre loro a ricordarlo e che, spesso, chiedono di fare anche il “Buon pomeriggio”, quando arrivo alle 12.

Per le vacanze ho chiesto di leggere due libri. Ho dato un elenco piuttosto lungo di titoli e di autori tra i quali scegliere uno dei due libri da leggere, l'altro era a scelta completamente libera. Nel mio elenco ho messo solo classici della letteratura per ragazzi, in edizione integrale. Ho consigliato testi e autori più semplici e più difficili perché il livello di maturità dei miei lettori è molto diverso dall'uno all'altro, anche se hanno tutti la stessa età. Ho potuto dare a loro la scelta perché in un anno e mezzo li ho educati a scegliere: abbiamo scoperto che differenza c'è tra un classico e la letteratura di consumo, perché L'isola del tesoro è un libro diverso da Scooby Doo, perché è diverso leggere un libro in edizione integrale e in una riduzione o un adattamento. Sono stati loro stessi a raccontare ai compagni che dopo aver letto Piccole donne nella versione di Stilton o nella versione originale hanno trovato molto più interessante la versione originale. 
Tutte cose che “Il libro di lettura” non ti spiega... noi oramai siamo passati ai libri veri. 
Per chi ha reali problemi con la lettura c'è la modalità “Staffetta di lettura”: si legge ad alta voce assieme a un adulto un pezzo a testa; oppure ci sono gli audiolibri.
Dopo un anno e mezzo di letture di grandi classici fatte ad alta voce in classe, o da soli a casa per propria scelta, di riflessioni sullo stile dei diversi scrittori e anche sui gusti diversi di loro come lettori, ho pensato che dovevano essere già pronti per scegliere.
Oggi è arrivata in classe una vera montagna di libri, e altri devono arrivare nei prossimi giorni. Abbiamo dedicato le prime due ore completamente alla lettura. Uno alla volta sono venuti a fare la “pubblicità” dei libri letti. Un'altra delle nostre usanze. Quando si legge un libro a casa nel corso dell'anno poi ci si prenota sull'agenda della maestra per fare la pubblicità del libro letto ai compagni. Per fare una pubblicità si hanno a disposizione al massimo 5 minuti, bisogna portare il libro da far vedere ai compagni, bisogna dire il titolo, l'autore, l'editore e l'anno di edizione, fare un brevissimo riassunto della trama (senza svelare il finale!) e spiegare perché è piaciuto o non è piaciuto. Questo gioco porta a risultati fantastici: ho sentito delle critiche sullo stile degli scrittori che neppure ai convegni universitari. 
Il meccanismo della pubblicità funziona in maniera sorprendente. Quando un bambino finisce il suo spot di solito qualcuno fa delle domande perché è stato incuriosito e vuole sapere qualche cosa di più, poi si alza una selva di mani: sono i bambini che si prenotano per leggere quel libro. Per cui per certi libri devo creare delle liste d'attesa o pregare la bibliotecaria di trovare altre copie o altre edizioni dello stesso libro. Perché funziona il gioco della pubblicità? Perché non sono io a obbligare di leggere un libro, io potrei avere disonesti secondi fini didattici, invece dei loro compagni si possono fidare, anche quando consigliano Tom Sawyer, 20.000 leghe sotto i mari, Piccole donne, I ragazzi della via Paal, Il giro del mondo in 80 giorni, I pirati della Malesia, Lo stralisco, L'occhio del lupo...
Si possono anche leggere le mille pagine dei tre volumi delle Cronache di Narnia a 9 anni, se è stato un compagno a consigliartele.

Se si vuole che i bambini leggano libri bisogna fare una semplice cosa: far capire quanto per voi è importante leggere. Se riteniamo che una cosa sia importate le dedichiamo del tempo e del denaro, allora leggere diventa qualche cosa di prezioso, non un compito scolastico ma un bellissimo momento da passare insieme. Non solo i vostri bambini avranno vissuto che cosa è un tipo di testo o un genere letterario, invece di impararne a memoria la definizione accanto agli stitici branetti di questo o quel libro di testo, ma avrete anche fatto loro un gran regalo: la chiave d'accesso al mondo dell'immaginazione.

lunedì 12 settembre 2011

Primo giorno di scuola, in cui si ride, si piange e si incontrano viaggiatori di terre lontane

Il mio turno del lunedì prevede 12-16, quindi un'ora in classe, poi mensa e poi lezione.
Non sono stata quindi io a vederli entrare nella classe che abbiamo preparato così pulita, sono arrivata invece mentre stavano facendo lezione di inglese con la collega. Quando mi hanno vista entrare, cinque o sei bambine sono corse ad abbracciarmi e non volevano farmi fare un passo di più, per altri era come se non ci vedessimo dalla mattina prima, come se non fossero passati tre mesi senza vederci. La cosa che impressiona di più è quanto crescono in altezza nei mesi estivi, li lasci che li guardavi dall'alto in basso e poi ti ritrovi a guardarli negli occhi.
Dopo i convenevoli, decido di partire dalla lettura dei testi che ho assegnato per le vacanze. Mi complimento con me stessa per i titoli davvero interessanti che avevo partorito a giugno e dei quali nel frattempo mi ero completamente dimenticata. Il più gradito sembra essere stato “Raccogli documentazione (cartoline, dépliant, foto...) su una visita interessante fatta durante le vacanze e scrivi una breve relazione (due pagine circa) per raccontare ai tuoi compagni l'esperienza”. Ecco che con le loro letture e le loro foto siamo a Venezia, a Bellinzona, a Villasimius, e scopriamo di mamme che scacciano topi dalle camere in affitto (intanto il papà si è rifugiato sul letto) e canoe a noleggio che fanno acqua.
Alza poi la mano Alan, che vuole leggere il suo testo dove “Immagina di diventare improvvisamente piccolissimo” e ci racconta, leggendo con una voce fioca un testo con molti errori, che vorrebbe guidare la sua macchinina telecomandata e, visto che è a dieta, andare nello scaffale più alto, quello dei cibi proibiti, e prendere tutto quello che c'è, chiudersi nell'armadio e mangiare tutto piano piano.
La lettura di un altro testo ci regala invece un momento commovente. Si tratta del testo “Scrivi una lettera indirizzata a te stesso quando sarai diventato grande: di che cosa vorrai ricordarti di questo periodo passato alla scuola elementare?” scritto da Arlette. Con voce ferma Arlette legge, in piedi davanti a tutta la classe, di come quest'estate suo fratello sia stato ricoverato in ospedale, di come lei si sia spaventata a vederlo nel letto e sia corsa piangendo in braccio al fratello più grande e di come sia stata contenta quando poi il fratello è migliorato ed è potuto tornare a casa. Lei ha la voce ferma, ma sto per commuovermi io, per il coraggio che ha Arlette di raccontare a tutta la classe cose così personali e dolorose, per il suo sorriso che non è affatto vuoto, come invece sostiene una psicologa che l'ha vista lo scorso anno.
E poi andiamo in mensa, e ogni volta è una cosa che preferirei non dover fare. Per ora voglio solo dirvi che mangiare pasta in bianco scotta in una stanza con 50 persone che si agitano non è proprio una delle cose che una guida slow food cataloga tra le imperdibili. Oggi mangio pane e formaggio, le banane sono così verdi che qualcuno nota che sembrano piuttosto lunghi fichi d'india, le ritiro e le metto da parte per domani.
Dopo la mensa andiamo in cortile e i bambini giocano e parlano liberamente, mescolandosi anche a quelli delle altre classi, come al solito qualcuno si sbuccia il ginocchio cadendo sull'asfalto, viene disinfettato e torna a correre con una benda rudimentale. Il cortile è anche il momento delle confessioni e dei discorsi seri: alcune bambine mi illustrano i loro progetti sportivi per l'anno appena cominciato.
Torniamo in classe caldi e appiccicosi quando già almeno una decina di volte mi è stata posta la domanda “Maestra che cosa facciamo oggi?” e mi sono fioccate le proposte “Facciamo storia!” “Facciamo immagine!” In realtà decido di dedicare il pomeriggio non a una materia, ma all'inserimento delle due nuove bambine appena arrivate. Raccontiamo tutte le nostre “usanze”, come vengono definite, e chiediamo di sapere quali erano le usanze delle loro scuole. Ci sembrano storie di viaggiatori che arrivano da mondi sconosciuti, mondi dove è vietata la penna cancellabile, è vietata la bottiglietta d'acqua, il maestro di disegno sbatte la bacchetta sui banchi. Vedo gli occhi della nuova bambina spalancarsi dallo stupore quando spiego che solo durante le verifiche è vietato copiare, mentre negli altri momenti ci si aiuta e si collabora assieme. Devo sembrare anche io una che è appena arrivata da un altro mondo.

domenica 11 settembre 2011

A proposito di me (1)

Finalmente mi presento. Qualcuno di voi ha già capito chi sono, d'altro canto si può dire che oramai sono quasi un personaggio pubblico. Insomma tutti conoscete la mia storia, o almeno la storia di quand'ero bambina. Qui sotto vedete un ritratto che mi fece un'artista qualche tempo dopo i fatti che tutti conoscete. Vedete il mio mantello, il mio cestino e quel mio famoso cappuccio rosso.
Vi svelo subito una cosa che non vi hanno mai raccontato. Osservate bene il ritratto: ci sono due particolari che nessuno vi ha mai detto. Sì, proprio così, andavo in giro scalza. No, non era un fatto di povertà. Lo facevo perché mi piaceva. Come sapete abitavo in campagna e vi posso assicurare che una delle cose più belle è camminare scalzi sull'erba. Crescendo mi abituai a camminare anche sui sassi, sulle rocce, nel bosco. Avete mai provato il solletico del muschio sotto i piedi?
E poi ecco l'altro particolare, l'artista che mi ha ritratta voleva, diciamo così, essere realistica e non agiografica. Insomma, è vero: il mio naso non è proprio piccolino. Lo so che avete visto tanti miei ritratti con il bel faccino tondo e il nasino a patatina, ma in verità son libertà che si sono prese gli illustratori, per far piacere ai bimbi, o forse di più ai canoni estetici delle mammine. Ecco io il nasino all'insù non l'ho mai avuto. E vi dirò anche da chi l'ho preso questo naso un po' importante: dalla nonna. La nonna aveva proprio un nasone, ma, come dicevano, sapeva portarlo con eleganza.
Vi sarete accorti che ho usato il passato... ma d'altro canto che cosa vi aspettavate? Già al tempo dei fatti a voi noti la nonnina non stava bene. È ben vero che uscì dalla pancia del lupo più arzilla e pimpante di prima, tanto che pensammo che quella scarica di adrenalina doveva aver sortito qualche effetto positivo, però... gli anni passano proprio per tutti, e son passati anche per lei. Devo proprio dirvelo: la nonnina è morta, ed è già qualche anno, oramai. Però voglio rassicurarvi, ha vissuto bene e a lungo; a un certo punto è stata malata per qualche mese. Poi un giorno ci ha salutati e abbracciati tutti e quella notte è morta. Ah, le abbiamo fatto un bel funerale in una piccola chiesetta e un piccolo cimitero. L'abbiamo messa accanto al nonno. E certo, perché naturalmente avevo anche un nonno, ma all'epoca dei fatti che tutti conoscete il nonno non c'era già più, è per questo che nessuno parla mai di lui. Ed è anche ovvio che io abbia un padre, che diamine! La biologia vale anche nelle favole! Già che siamo al momento delle verità scioccanti devo anche dirvi che la nonnina non era la madre di mia madre ma sua suocera.
Come avrete capito chi raccontò la storia tralasciò qualche particolare.
Ma non mi sono fatta viva dopo tanti anni per parlare ancora di quando ero bambina. Oh quante ne hanno dette e quante ne hanno fatte dopo che si è venuto a sapere che avevamo sconfitto il lupo! Insomma in quel piccolo angolo di bosco accadde il finimondo. E vi dirò che non ero poi neanche tanto contenta, io. Alla fin fine, gira e volta, il merito era del cacciatore. Poi, certo, io e la nonnina avevamo avuto, diciamo così, lo stomaco per riempire di pietre la pancia del lupo e, per restare in tema, il fegato di aspettare che lui si svegliasse per vederlo poi uscire assetato verso il fiume e poi, finalmente, vederlo annegare. Però restava il fatto che io non ci avevo fatto poi tanto una bella figura. Lo sapete, no? Avevo disubbidito alla mamma andando a raccoglier fiori, mi ero lasciata tentare dal lupo, avevo messo in pericolo la nonna e me stessa e - sentite questa! - ci furono anche quelli che cominciarono a dire che il lupo non era poi così cattivo, e che ci sono anche i lupi buoni, e che bisogna conoscere bene i lupi, e che non bisogna farsi spaventare da ciò che non si conosce e via dicendo.
Lasciatemi, dopo tanti anni, lo spazio per un piccolo sfogo. Che diamine! Il lupo io lo avevo conosciuto, ci avevo parlato, e ci avevo parlato in un'epoca in cui tutti giravano col fucile al collo e alla prima ombra nel bosco sparavano basso! E io invece, quando lo avevo visto, certo, avevo avuto paura, ma ero una bambina tanto semplice che avevo pensato: non mi farà del male, forse si sente solo e non ha nessuno con cui parlare. Ecco, con il cuore che mi batteva in gola (e questo nessuno ve l'ha raccontato, a chi importavano le mie emozioni?) con una paura matta gli ho parlato. E ho pensato che non aveva tutti i torti a dire che la giornata era bella e che si potevano anche raccogliere dei fiori. E raccogliendo fiori mi sono un po' rassicurata, anzi ero proprio felice e orgogliosa di me, perché avevo superato la paura del lupo, avevo dimostrato che con la fiducia nel prossimo si ottengono grandi cambiamenti e via dicendo. Ma la sorpresa che mi aspettava dalla nonna tutti la sapete. E poi tutta quella pantomina per divertirsi a prendermi per fessa: "è per vederti meglio... è per sentirti meglio..." tutta una storia, ma poi mi mangiò in sol boccone. E non trovate che il lupo sia stato proprio un falso, cattivo e bugiardo? E non trovate che io, la nonnina e il cacciatore avevamo tutto il diritto di essere arrabbiati e di vendicarci, sì anche uccidendolo? Insomma il lupo, quel lupo, era cattivo e stop.

Ma dicevo che non voglio parlare del passato. Sono tornata dopo tanti anni per parlarvi del presente, di quello che faccio oggi.
Ne hanno dette tante quando ero bambina, ne hanno fatte tante che neanche potete immaginare, vi dico solo che mi hanno messo il cappuccio giallo e poi un'altra volta verde per vedere come mi stava e se cambiavo comportamento influenzata dal colore del mio mantello. Un'altra volta un lupo, tristissimo, si è innamorato di me (ma vi pare? con le esperienze che ho avuto!). E poi tutte quelle analisi psicologiche sul ruolo del lupo, il ruolo del cacciatore, e i personaggi maschili e i personaggi femminili. 
Ma insomma io ho avuto sempre un po' la sensazione che continuassero a farmi passare per fessa.
Ad ogni modo, quando han visto che anche io cominciavo a crescere e che non ero più una bambina hanno cominciato a lasciarci in pace. O meglio, hanno continuato a parlare per conto loro di quello che era successo quel giorno con il lupo nel bosco, ma non sono più venuti a disturbarci.

Ma appunto voglio raccontarvi quello che faccio oggi. Beh, già lo sapete: io insegno. Insomma, sì, ci sono dei bambini che hanno per maestra Cappuccetto Rosso e, no, non lo sanno.
Certo, quando si è parlato delle favole e delle fiabe ho detto che la mia preferita è quella di Cappuccetto Rosso, ma ho spiegato che è perché me la raccontava la nonna. In effetti questa non è neppure una bugia: tante volte con la nonna abbiamo ricordato la nostra avventura!
Insegno già da qualche anno. Non vorrei dirvi quanti anni ho, ma visto che insistete vi dirò che ne ho più di 35 e meno di 40.
So che c'è ancora una cosa di me che volete sapere, ingenuotti che non siete altro, se vado sempre in giro con il cappuccio rosso. Ehi, non vi pare che mi farei notare un po' troppo?! Alla mia età con il mantello e il cappuccio rosso, no non posso più permettermelo. Però amo molto i mantelli e ho avuto, e ho ancora, qualche cappotto rosso. Anzi, questa mia passione per il rosso ha rischiato di smascherarmi: qualche anno fa ero in città con un cappotto di velluto rosso e qualcuno ha gridato “Cappuccetto Rosso!”. Ho fatto finta di nulla, certo è stata un'emozione sentirsi chiamare con quel nome dopo tanti anni. Ma non voglio essere riconosciuta. Vi immaginate che putiferio verrebbe fuori? Vedo già i titoli dei giornali: “Cappuccetto Rosso fa la maestra. La bambina disubbidiente saprà educare i bambini?”, “Esclusivo: anche Cappuccetto Rosso invecchia. Tutte le foto delle prime rughe”, “Dove è e che cosa fa il padre di Cappuccetto Rosso?”.
Insomma comincerebbe una nuova serie di scocciature.
Preferisco restare nascosta e raccontare da me come sono andate avanti le cose.
Come dalla casetta nel bosco sono finita a fare la maestra in una scuola di città. E come, in una scuola di città, ho dato il via alla rivoluzione delle matite.

Io

Il lusso di parlare di scuola

Domani comincia la scuola. Questa mattina decido di farmi una rassegna stampa sull'argomento dai quotidiani on-line.
Certo, oggi è l'11 settembre ed è normale che la notizia di primo piano sia quella delle commemorazioni per il decennale dell'attacco alle torri gemelle. Non mi aspetto di trovare la scuola in prima pagina, ma di trovare qualche cosa sulla scuola sì. Ecco i risultati dell'indagine:
- L'Unità: dossier di 8 pagine uscito in edicola ieri e oggi a disposizione in file pdf
- La Repubblica: rubrica scuola
- La Stampa: rubrica scuola
- Il Fatto quotidiano: rubrica scuola
- Il Manifesto: niente
- Il Giornale: niente
- Libero: niente
- Il Corriere della sera: niente

In compenso Il Giornale ha la nuova rubrica Lusso. Ne sentivamo proprio il bisogno.

venerdì 9 settembre 2011

I miei banchi

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Nove settembre: i libri, lo straccio e il trapano

Oggi ho cominciato la giornata facendo finalmente il mio lavoro: ho compilato il mio modulo dell'orario, letto la programmazione, preso appunti su quello che voglio fare quest'anno per ogni materia, programmato l'attività della prossima settimana, letto le linee guida per la didattica per alunni con Disturbi Specifici dell'Apprendimento, guardato che cosa va bene e che cosa non va bene dei libri di testo, preparato qualche materiale, leggiucchiato libri con percorsi didattici che possono essermi utili quest'anno. Qualche oretta di lavoro intenso ma tranquillo. 

Ieri vi ho scritto che la classe è piena di banchi. Banchi sporchi. 
Come sapete qualche giorno fa, assieme alla mia collega, ho pulito accuratamente tutta la classe, lavando finestre e pavimento e passando anche la cera. I banchi non li avevamo lavati. Devo ammetterlo: pensavo che rientrasse nei compiti di minima di chi è addetto alle pulizie, quindi ho aspettato fino a oggi. 
Oggi alle 13 non erano stati puliti, magari si prevedeva di pulirli oggi pomeriggio, ma come fare a saperlo? Devo dire che quando mi sono armata di straccetto e spray ero un po' triste. La scuola vuota e silenziosa, tutta la fatica fatta per pulire la classe e neppure questa piccola collaborazione. Ma il sacro fuoco della rivoluzione delle matite mi ha richiamata all'ordine. Sorridere e lavorare! Pulendo uno a uno i banchi pensavo ai bambini: si meritano di trovarli puliti lunedì mattina, di appoggiare i loro quaderni nuovi e i loro diari su un banco lucidato, non importa da chi. 
Mentre ero circa a metà del lavoro, bussano alla porta un collega e una collega, armati di trapano, prolunga e viti, che annunciano: “Siamo del servizio porte!”. “Evviva!”, rispondo, “io sono del servizio pulizia dei banchi!” Sono venuti a fissare sulla porta grigia e scrostata il nostro coloratissimo pannello dipinto con gli acrilici lo scorso anno. 
E ora la porta è verde, rossa e blu, con foglie, case, finestre, palazzi e un fiero uccellino in cima ad un albero. E i miei 25 banchi sono lucidissimi. 
Anche questa volta ho lavorato più dell'orario previsto, ma uscire da scuola soddisfatti non ha prezzo. 

giovedì 8 settembre 2011

Otto settembre, in cui un problema insolubile viene risolto e si osserva un mazzo di carte

Habemus horarium! 
Grandi discussioni oggi in biblioteca, disponibilità e indisponibilità, part-time e vincoli organizzativi, ore che si danno e ore che si prendono. Con molti sforzi alla fine l'orario è fatto, compreso quello delle palestre e delle aule di informatica. 

Quest'anno avremo in classe due bambine in più e quindi saremo in 25. La classe è piena di banchi! 
Quando un bambino si trasferisce da una scuola a un'altra nella stessa città di solito è perché ha la necessità di riaprire i giochi. I genitori danno sempre la stessa motivazione: il bambino non si trovava bene nell'altra scuola; ma è una motivazione che non spiega nulla ai nuovi insegnanti. 
È come se la famiglia decidesse di riprendere in mano il mazzo di carte e rimescolarlo per vedere se la seconda mano è meglio della prima. Ci possono essere molti motivi per riprendere in mano il mazzo, intuirli prima possibile è fondamentale. 

via Il Fatto Quotidiano News per Android (http://goo.gl/FPiE8)
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mercoledì 7 settembre 2011

Sette settembre: POF!

Forse la rivoluzione delle matite viaggia nell'aria come bolle di sapone fino a infrangersi, POF!, sulla fronte delle persone e contagiarle, proprio come ieri sera mi ha augurato Susy, la prima commentatrice del mio primo blog (Grazie Susy!). 
O forse nell'aria di quest'estate viaggiava un odore nuovo, nelle nostre letture e nelle nostre vacanze, anche se lontane e diverse. Fatto sta che oggi, POF!. Al gruppo POF, che in realtà è anche la sigla del “Piano dell'Offerta Formativa”, cioè il documento con il quale la scuola si presenta alle famiglie e agli alunni (NON chiamiamoli utenti, è così impersonale!), l'atmosfera era molto diversa dal solito. Taglio netto alle lamentele e desiderio di cambiare le cose in maniera costruttiva. Una collega, che non sa della rivoluzione delle matite, a fine riunione ha commentato “Che rivoluzione quest'anno!” Il nostro referente del POF, che siamo abituati a vedere più che arrabbiato sconsolato, aveva tutto un altro piglio. Una bolla di sapone deve averlo raggiunto e POF! è diventato più forte il desiderio di cambiare che quello di lamentarsi. E forse altre bolle di sapone sono girate in biblioteca questa mattina, POF! POF!, colpendo un po' di qua e un po' di là, perché tutti sono stati in silenzio ad ascoltare e hanno fatto interventi pacati, sensati e costruttivi. 
I vecchi e i nuovi progetti quest'anno nascono sotto una buona stella, anzi, sotto una buona bolla di sapone! 
A tutti l'augurio di un bel POF! 

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martedì 6 settembre 2011

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Sei settembre. Questa volta no!

Oggi io non faccio sciopero.
Non perché non ci siano motivi per protestare, anzi sono molti di più di quelli che il sindacato ha dichiarato; non perché, in questo periodo di ristrettezze, non voglia spendere una giornata di stipendio per una buona causa; non perché oggi al lavoro ci sia qualcosa di non rimandabile e non per conformismo.
Oggi io non sciopero, ed entrare in quel portone e mettere la mia firma sull'elenco per i controlli mi brucia, ma è un bruciare consapevole.
Oggi io non sciopero perché lo sciopero, in Italia, non è più una forma di protesta efficace, perché un sindacato che sciopera da solo, seppure il sindacato con la maggior percentuale di iscritti, seppur il sindacato al quale verso il mio contributo ogni mese, non otterrà nessun risultato.
Oggi io non sciopero, anche se negli ultimi due anni sono stata tra le prime a scioperare, con una consapevolezza e una forza nuove, perché da oggi 6 settembre comincia la mia Resistenza, perché da oggi 6 settembre comincia la Rivoluzione delle matite.
Per cominciare, oggi mi trovo sul mio luogo di lavoro ma non faccio il mio lavoro: oggi comincio la rivoluzione. Le mie armi sono spugne e detersivi, il mio canto di battaglia il Concerto per pianoforte n.3 di Rachmaninoff (Allegro, ma non tanto - come si addice alla situazione-) che tuona a tutto volume nel mio corridoio. E la mia arma più forte è il sorriso. La rivoluzione delle matite non ha la faccia arrabbiata.
La rivoluzione delle matite comincia rovesciando i luoghi comuni.
Di mestiere insegno, ho una certa collezione di titoli di studio e ho avuto la possibilità di formarmi una buona cultura, oggi la cosa migliore che posso fare, sorridendo, per la mia classe e per il mio lavoro, è rendere la mia aula più bella possibile. Con il sorriso dovuto all'orgoglio che sono io a farlo, ho le mani e le gambe per poterlo fare e non ha alcuna importanza se è o non è mio compito.
La rivoluzione delle matite abolisce le lamentele perché è convinta che non si debba permettere a niente e a nessuno di scalfire la nostra soddisfazione professionale: non saranno due ministri e non sarà neppure un governo che usa tutte le armi che possiede per denigrarci e demotivarci. Non sarà la crisi a impedirci di avere soddisfazione, piena soddisfazione del nostro lavoro.
È per questo che con particolare cura lavo le finestre dentro e fuori con due passate, la seconda con il giornale perché voglio che siano proprio lucide; è per questo che passo anche le maniglie, che mi faccio portare da casa l'aspirapolvere, svuoto gli armadi, li pulisco anche in alto salendo sulla sedia (e proprio in quel momento i miei CD suonano Wagner). E poi quelle stecche porta poster che accumulano la polvere, e l'interruttore. E il pavimento va lavato con l'acqua profumata e poi va passata la cera.
La rivoluzione delle matite comincia andando a lavorare un giorno di sciopero, lavorando due ore in più dell'orario previsto e senza aver paura di fare qualche cosa che non è nostro compito.
Non sono sola nella rivoluzione delle matite, anzi le colleghe mi aiutano e intuiscono altre possibili miglioramenti: come sarebbe bello dipingere di bianco questo muro grigio-marrone! Domani porteremo le piante; in un'altra classe (quella dalla quale ho preso in prestito la cera per il parquet) si pensa a delle candele profumate... La rivoluzione delle matite è profumata ed è contagiosa, perché non si lamenta ma è soddisfatta di quello che fa. Non chiede ma offre.
La rivoluzione delle matite ha un'arma in più: la capacità di fare un lavoro fatto al meglio delle proprie possibilità, qualunque esso sia e in qualsiasi condizione.
La rivoluzione delle matite non si piega a quelle che sono le ristrettezze del presente, ma scrive il futuro con continue e quotidiane azioni di Resistenza. Perché grandi uomini e grandi donne ci hanno già dimostrato che la dignità umana e professionale può essere conservata persino nei contesti più terribili. In onore al muratore di Auschwiz ricordato da Levi: il suo muro doveva essere dritto, anche se si trattava di un muro costruito in schiavitù; in onore a Steinlauf, che ogni mattina rischiava la polmonite per lavarsi. Perché “una facoltà ci è rimasta, e dobbiamo difenderla con ogni vigore perché è l’ultima: la facoltà di negare il nostro consenso. Dobbiamo quindi, certamente, lavarci la faccia senza sapone, nell’acqua sporca, e asciugarci nella giacca. Dobbiamo dare il nero alle scarpe, non perché così prescrive il regolamento, ma per dignità e proprietà. Dobbiamo camminare dritti, senza strascicare gli zoccoli, non già in omaggio alla disciplina prussiana, ma per restare vivi, per non cominciare a morire” (Primo Levi, Se questo è un uomo).

La rivoluzione delle matite non idealizza il passato, ma ha memoria di ciò che è stato, si occupa del presente e costruisce il futuro ogni giorno, per molte ore al giorno. Non si accontenta di andare in piazza una volta al mese.
La rivoluzione delle matite ha dalla sua parte la cultura e saprà offrire un sorriso disarmante in faccia alla volgarità e all'ignoranza. Sarà davanti al nostro lavoro ben fatto, e fatto con il sorriso, che non potranno più darci dei fannulloni, dei privilegiati, degli approfittatori. E con quello stesso consapevole sorriso chiederemo il rispetto dei nostri contratti e diritti sindacali.
Se lo sciopero non funziona più, la rivoluzione delle matite saprà trovare altre forme sorprendenti e contagiose di lotta, imprevedibili.
Perché, la prossima volta, non proporre una domenica a scuole aperte in cui tutti possano venire ad abbellire le scuole, proporre e sentire lezioni?

lunedì 5 settembre 2011

Lunedì giorno di mercato

Tutti in biblioteca per gli orari. Sembra di stare alla borsa: foglietti in mano, gente che si agita, gente che grida, piccoli gruppi di persone che parlano tra di loro e poi si spostano. Nell'aria molti “No, non è possibile, ma hai capito che cosa mi stai chiedendo?” “Ma stai scherzando?!” “Ma io ogni anno faccio sacrifici!”. Vere e proprie contrattazioni, non si tratta di denaro ma di tempo. Quante ore hai, quante ore puoi dare, di quante ore hai bisogno. 
Io posso osservare la scena con una certa calma e un certo distacco perché non ho bisogno di ore e me ne avanza solo una, che metterò a disposizione per le supplenze. Sono indipendente, e di questi tempi è una gran fortuna.
Se già normalmente l'organizzazione dell'orario era un bel problema, da quando sono entrati in vigore i tagli all'organico (questo è il terzo anno) è diventata un'impresa titanica, soprattutto se, ogni tanto, si vuol tener presente il fatto che davanti al nostro orario ci sono i bambini delle nostre classi.
Dalla riforma Gelmini l'assegnazione dell'organico alle scuole avviene in base al numero di ore-docente e non in base al numero di classi. Un insegnante delle elementari ha per contratto 22 ore di docenza alla settimana più 2 ore di programmazione obbligatoria. L'orario dei bambini, nella scuola dove lavoro, ha 3 modelli: 28 ore (per ora solo le prime a tempo base), 30 ore (tutte le altre classi a tempo-base), 40 ore (tutte le classi a tempo pieno). Per farla breve ci si trova in delle situazioni in cui delle classi hanno bisogno di avere ancora 4-6 ore di docenti e in altre classi, a causa dell'eliminazione delle compresenze, ci sono insegnanti che hanno ore libere (da 1 a 4), quindi occorre combinare le due cose nel modo meno dannoso possibile, per i bambini e per gli insegnanti. Il tutto va incastrato con l'orario di religione e di attività alternativa e di inglese. 
Oggi si sono trovati alcuni accordi, ma il mercato non è ancora chiuso.

venerdì 2 settembre 2011

Due settembre, in cui si presentano molti problemi e si rimandano le soluzioni.

Collegio di plesso della scuola primaria, il che significa che oggi c'è un rito pagano dedicato solo a noi. Scuola primaria vuol dire scuola elementare.
Io insegno nella scuola elementare e dunque c'è qualcuno che mi chiama “maestra”, ma di questo parlerò un'altra volta.

Oggi si parla dei nostri problemi.

1. Prendere lo stesso numero di classi dell'anno precedente e togliere due insegnanti dall'organico. Trovare come assegnare le insegnanti alle classi cercando
a) di mantenere la continuità della classe (insegnante che l'anno precedente ha avuto una classe continua con la stessa classe)
b) di non avere troppi insegnanti in una sola classe (nota: da quando è stato introdotto il “maestro unico prevalente”, per effetto dei tagli agli organici, sono spuntate le classi “spezzatino”, classi cioè dove gli insegnanti vanno solo per completare l'orario, classi dove alunni di prima vedono 6-8 insegnanti)
c) di mantenere la continuità degli ambiti disciplinari (insegnante che insegna matematica da 15 anni continui a insegnare matematica)
d) di non costringere gli insegnanti a lavorare su classi di diverso livello (es. prima e seconda, quinta e prima...).

2. Portare gli alunni in aula di informatica considerando che
a) l'aula di informatica ha 12 computer
b) le classi sono da 20 a 25 alunni
c) sono state eliminate le compresenze per dividere le classi a gruppi
d) l'aula d'informatica non ha la capienza necessaria (vd.regole per la sicurezza) per accogliere tutti gli alunni di una classe nello stesso momento.

3. Migliorare le condizioni igieniche della scuola, considerate inadeguate già da anni, tenendo conto dell'ulteriore taglio ai fondi utilizzabili per le pulizie.

4. Garantire la sorveglianza tenendo conto del fatto che
a) la scuola ha 3 piani e 6 corridoi
b) il nuovo posto per bidello è stato attribuito mandando due persone in part-time con lo stesso orario di part-time (tutti e due presenti solo le mattine dei primi tre giorni della settimana).

5. Far funzionare la biblioteca scolastica considerando il fatto che la bibliotecaria tra pochi giorni verrà richiamata a lavorare per l'amministrazione in qualche altra scuola.

Dopo alcune ore di discussioni, tra calcoli di ore e di soldi e rivendicazioni di dignità professionale, ogni decisione viene rimandata a lunedì.


Una cosa sulla quale riflettere questo fine settimana: Holland, Hendriks e Aarts, nel loro Smells Like Clean Spirit: Nonconscious Effects of Scent on Cognition and Behavior, pare abbiano dimostrato che se viene spruzzato un lieve profumo di detersivo in una stanza le persone la puliranno con maggiore cura.
Questa informazione potrebbe aiutare a trovare la soluzione del problema n. 3?

giovedì 1 settembre 2011

Primo settembre


Visto che io insegno non seguo il calendario gregoriano. Il mio anno non finisce il 31 dicembre e non comincia il primo gennaio. Il mio anno comincia oggi 1 settembre con un rito pagano chiamato “collegio dei docenti unitario”. 
Il celebrante e il suo aiutante prendono posto sulla pedana dietro al tavolo. La plebe siede su poltroncine in plastica fissate a due a due secondo un ordine affatto casuale. Alla destra del celebrante prendono posto i professori e le professoresse, alla sinistra del celebrante le maestre e i due maestri. 
La celebrazione comincia con l'appello, in ordine alfabetico, degli insegnanti che per quest'anno lavoreranno nell'Istituto. Per alcuni è solo una scocciatura, per i nuovi è il momento dell'investitura: in quei pochi secondi in cui viene pronunciato il loro nome essi finalmente esistono nel loro compito istituzionale. Il celebrante recita: “A.B. copre 10 ore di inglese, C.Z. ruolo su posto di tecnologie, D.G. 10 ore su posto di sostegno...” 
Qualche ruolo, quest'anno, e meno incarichi a supplenza, mancano delle colleghe che siamo abituati a vedere da parecchi anni. 
Questa è la scuola, bellezza. 


La scorsa settimana qualcuno ha brindato sullo stretto marciapiede fuori dal portone dell'Ufficio Scolastico Provinciale per la firma del contratto di ruolo e altri, oggi primo settembre, dopo anni di incarichi annuali, sono rimasti a casa, con l'orecchio teso al telefono: sperano di essere chiamati dalle segreterie per le supplenze più brevi. Queste sono le assunzioni e questi sono i tagli. Il resto è burocrazia: verbali da approvare, l'elenco delle buone intenzioni, il calendario dei prossimi appuntamenti, il memento dei “tagli alle risorse economiche e umane”. 
Quando il celebrante consente di andare in pace, comincia il lavoro vero. Nei corridoi, nelle aule, in atrio e in parcheggio partono le contrattazioni. La questione sul piatto è quella degli orari. E sugli orari non c'è pietà per nessuno. 
Oggi 1 settembre è il giorno per le contrattazioni e la diplomazia. 
Domani 2 settembre è il giorno della battaglia: il “collegio di plesso”, con l'assegnazione dei docenti alle classi e la definizione dell'orario.

E tu che cosa fai?


Un sabato pomeriggio qualunque di un mese qualunque incontri in città una compagna di liceo che non vedi da una vita. Sorrisi, ciao, come stai, cosa fai, dove vivi, ah, ti sei trasferita, vedi qualcuno dei tempi di scuola e via dicendo. Poi la conversazione si fa un po' troppo lunga, le commesse del negozio incominciano a fissarvi, ed è il quel preciso momento che lei ti chiede: “E tu che cosa fai?”.
Ed è quel preciso momento che tu avresti voluto evitare, che quasi quasi -pensi- un'altra volta non mi fermo a salutare una persona che non vedo da una vita, e quasi quasi un'altra volta esco senza occhiali così non rischio di riconoscere qualcuno.
Rapidamente passi in rassegna strategie di uscita dall'angolo nel quale sei stato cacciato, arriva come un salvagente cerebrale il verso della canzone “povera amica che narravi/ dieci anni in poche frasi/ ed i miei in un solo saluto”... i miei anni in un solo saluto, sarebbe bello riuscirci. Occorre un'altra strategia, ma anche “faccio cose, vedo gente” è oramai una frase da maglietta. Non c'è via di scampo e il tempo accettabile per il silenzio è già passato, puoi ancora prenderti solo meno di un attimo per decidere se preferire la lectio facilior o la versione completa della vicenda.

Finalmente, un giorno, ho capito qual è la lectio facilior.
Finalmente, un altro giorno, mi è venuta voglia di raccontare la versione completa della vicenda.
Io insegno.
Benvenuti in questo blog a tutti quelli che hanno voglia di sentire la versione completa della vicenda.