Questa mattina ho aperto Wikipedia per fare una ricerca e ho trovato il comunicato (
comunicato 4 ottobre).
Mi sembra il giorno giusto per parlare di una questione che mi sta a cuore: la privacy.
I lupi cattivi esistono ed è necessario cacciarli e punirli per le loro cattiverie, anzi, di più: è necessario fare in modo che non riescano a compierle.
Questo è il blog di una maestra, una maestra lavora con bambini, quindi con minorenni. Una maestra, anche se lavora con bambini, ritiene di poter parlare del proprio lavoro.
Naturalmente ho sostituito tutti i nomi con nomi inventati, naturalmente non metterò mai la foto di un bambino. Per lo stesso motivo non scriverò da nessuna parte in quale scuola lavoro, in quale città abito, in quale regione mi trovo: perché non sia possibile in alcun modo risalire all'identità dei bambini. Non potrò fotografare i loro disegni o i loro quaderni, anche se il nome non si vede.
Tutto questo è terribilmente triste, non per me che devo usare questi accorgimenti ma per il significato che queste misure veicolano e sul quale nessuno pare riflettere.
Le leggi sulla privacy sono state fatte per proteggere le persone in generale e i minori in particolare. Occorre però anche guardare a quello che sta attorno a queste leggi, cioè quanto la cultura, legale, della società collabori o non collabori con la formazione di un corretto rispetto delle persone in generale e dei minori in quanto persone.
Credo che sia stato messo in piedi un complesso sistema culturale che sta togliendo a un'ampia fetta della popolazione, i bambini, il diritto all'identità. Si sta impedendo ai bambini di avere un loro posto e un loro ruolo nella vita reale. Il bambino diventa una sorta di proprietà del genitore: è il genitore a gestire completamente la sua presenza/assenza nel mondo. Quello che vediamo tutti è che se il genitore può acquistare fama o soldi con l'immagine del bambino, come accade con le baby-star, con le baby-modelle, con i bravo-bravissimo, con i piccolo Darwin, con i chi ha incastrato Peter Pan, allora la sua immagine si può vedere.
Trovo invece che anche queste siano terribili violazioni al diritto all'identità del bambino in quanto persona. Le bambine che vediamo vestite leopardate con tacchi e rossetto, le modelline che ancheggiano dai cartonati dei negozi di abbigliamento, se pur ci è concesso di vederle, sono offerte ai nostri occhi trasformate nella loro identità. Non molto diversamente da quando vediamo le loro immagini oscurate sul viso. I piccoli geni messi sul palco, o i furbetti presi in giro dal presentatore di turno, sono ancora rappresentazioni distorte: offrono solo il triste spettacolo del più forte che si prende gioco del più debole e che ride alle sue spalle.
Ci deve essere qualche ragione per la quale la società nella quale viviamo somma alla paura dell'adulto che può far del male al bambino (statisticamente in moltissimi casi è un parente) la paura dell'identità del bambino in quanto tale, e finisce col negare l'infanzia. Negare l'infanzia è molto semplice: basta non dare il diritto al bambino di esprimersi in quanto persona. Non ha diritto ad avere la sua faccia e il suo nome, non ha diritto ad avere il suo abbigliamento anziché quello modello Corona e Belen in taglia lillipuziana, non ha diritto ad avere i suoi sguardi allegri e tristi anziché la maschera da duro (per i maschi) o da provocante (per le femmine).
Anche gli educatori a volte partecipano inconsapevolmente a questa negazione del bambino come persona. In alcuni striscia ancora subdola l'idea del bambino come una pianta storta da raddrizzare, un adulto imperfetto. Non si danno più bacchettate reali, ma esistono le bacchettate psicologiche. Per negare l'identità del bambino come persona l'adulto, in qualsiasi ruolo si trovi, basta che veda il bambino senza guardarlo e lo senta senza ascoltarlo. Il bambino dà fastidio, fa rumore, fa domande in momenti inopportuni, si muove troppo, quindi alcuni pensano che la giusta reazione a questo sia sgridarlo, non ascoltarlo, tenerlo fermo, salvo poi lasciare che “si sfoghi” in determinati contesti (avete presente quando avreste voluto una cenetta tranquilla al ristorante e un gruppetto di 4 bambini si è messo a correre e gridare proprio attorno alle vostre sedie?).
Se inserite questo atteggiamento attuato da parte degli adulti di riferimento nell'atteggiamento della società che ho sopra descritto si ottiene semplicemente un disastro per il benessere psicologico e affettivo del bambino: un fantasma al quale nessuno dà il diritto di esistere come persona reale, e che quindi comincia a trascinare rumorosamente le sue catene. Una testa che viene oscurata da una nuvoletta e un corpo che viene anzitempo plasmato sugli atteggiamenti di quello adulto, una voce che non viene ascoltata e allora grida.
In qualsiasi ruolo si trovino gli adulti che invece considerano i bambini come persone, come curiose persone delle quali sappiamo così poco e che hanno un sistema di funzionamento così spontaneo e complesso, hanno ogni giorno ad attenderli un mondo di sorprese.
Intanto, se riconoscete i bambini come persone loro faranno altrettanto con voi.
Mi succede spesso di andare a fare un'ora di supplenza in qualche altra classe della scuola. Più di una volta mi sono state segnalate classi difficili e bambini impossibili; ho visto più di una cattedra con pile di libretti (e ho sbirciato le note... “non sta fermo”, “si alza”, “parla con il compagno”...). Quando vado a fare supplenza in una classe penso che nessuno meriti la tortura di stare un'ora senza fare niente, allora mi porto una lettura divertente sulla quale discutere assieme, o il progetto per un disegno che possa dar loro qualche soddisfazione, oppure un bel CD di musica. Mi presento, parlo con loro, ascolto le loro domande e quello che vogliono dirmi. Non sono mancate alcune situazioni difficili di bambini che hanno cominciato a insultarsi per inezie; discuto le ragioni dell'uno e dell'altro, li separo, se necessario li sgrido con fermezza e cerco di non mostrare rabbia. Più di una volta, alla fine dell'ora, il bambino più turbolento ha chiesto di potermi dare la mano in fila. Ho sempre accettato. L'adulto che semplicemente considera il bambino come persona, con la sua identità, i suoi problemi, le sue gioie e le sue tristezze, ottiene in cambio il riconoscimento di se stesso come adulto e ottiene in regalo i gesti più commoventi.
Conosco un bambino molto problematico di un'altra classe. Qualche giorno fa l'ho incontrato al supermercato, era con la madre che comprava birre e intanto lo sgridava a corrente alternata in due lingue diverse. Ero in fila alla cassa dopo di loro. Quando ha alzato la testa e mi ha vista mi ha fatto un sorriso felice e meravigliato “Ciao!”. Ho risposto al sorriso e al saluto e l'ho risalutato anche quando, trotterellando dietro la mamma per uscire, si è girato: “Ciao!”. E quando un adulto ti dice “ciao” sorridendo significa che non è stata una seccatura incontrarti, e quando un bambino che ha grossi problemi ti saluta con quel sorriso vuol dire che, in qualche modo, gli hai dato qualche cosa di buono.
Non sono la Fata Turchina o Trilly, non faccio magie e non ho polverine magiche, sono solo Cappuccetto Rosso diventata adulta e sono anche diventata una maestra esigente e severa (vi racconterò anche questo). Solo che ricordo che una volta ero bambina, ricordo quali pensieri e quali emozioni si possono avere e ho la curiosità di conoscere pensieri, ragionamenti ed emozioni di quelle persone che, nonostante tutto, sono ancora bambine.
Che bello sarebbe un mondo popolato da bambini con i loro volti, i loro nomi, i loro giochi, le loro creazioni e le loro idee. Farebbe un gran bene anche a noi adulti.