giovedì 3 maggio 2012

Come interrogare tutta la classe in due ore senza diventare matti

Come ho già scritto (vd. Una questione di metodo) per un lungo periodo abbiamo fatto verifiche di storia scritte e con domande aperte. Volevo che imparassero a ragionare e a scrivere le loro risposte avendo spazio e tempo a disposizione. Poi abbiamo fatto i nostri convegni (vd. Comitato scientifico al lavoro) nei quali hanno imparato a fare una ricerca e a esporla oralmente.
Poi ho pensato che dovevo anche prepararli ad essere interrogati. Ma come fare quando sono così piccoli? Se interroghi uno gli altri 24 si annoiano orrendamente e iniziano a disturbare. Riempirli di schede? Volevo che imparassero anche osservando le interrogazioni degli altri. Come fare a non annoiarmi a sentirmi dire decine di volte le stesse cose?
Ho inventato il sistema che ora vi descrivo. 
Faccio un pezzo di programma (se volete chiamatelo modulo o unità didattica) che risulti abbastanza completo in sé; nel periodo in cui leggiamo assieme e spiego chiedo sempre di fare per casa schemi o riassunti della lezione spiegata, in modo tale che non sia possibile lasciare tutto da studiare all'ultimo, poi fisso una data per le interrogazioni. Avviso delle interrogazioni sempre circa una decina di giorni prima. Il mio obiettivo è che imparino a studiare un discorso organico e complesso in un arco di tempo, credo che non avrebbe senso chiedere oggi i 7 colli e tra una settimana i 7 re di Roma: bisogna avere una certa quantità di informazioni per fare ragionamenti e collegamenti sensati. Quindi chiedo di studiare parecchia roba, ma do anche parecchio tempo per farlo.
A casa mi preparo un elenco di molte domande sull'argomento, domande che diano sempre la possibilità di rispondere brevemente oppure di allargare il discorso e articolarlo in modo più complesso, in modo da essere adatte sia per i bambini più in difficoltà che per quelli più brillanti. Ad esempio in una domanda cerco di non chiedere solo il nome di una città o una data (ci sono alcune domande che noi chiamiamo "domande stupide"...).
Il giorno dell'interrogazione prevedo due ore circa, nelle quali riesco ad interrogare 25 bambini. 
Funziona così: in una scatola ho 25 bigliettini con i nomi dei bambini, in un'altra scatola ho le mie domande tagliate a striscioline e piegate. Pesco i nomi dei bambini: 2 vengono alla lavagna e 2 si siedono nel primo banco, i 2 alla lavagna sono interrogati e quelli in primo banco fanno da "controllori" di quanto stanno dicendo gli interrogati. Ogni interrogato pesca due o tre domande (tre nei casi di sufficienza stiracchiata). Le domande si pescano, si leggono e si ha un tempo per pensare a come rispondere in modo sensato. Questo perché devono ancora esercitarsi molto per riuscire a mettere assieme la memoria di quanto studiato con la pianificazione e l'organizzazione di un testo orale ben organizzato. Anche "essere interrogati" è un lavoro che si può imparare, scomponendo le varie difficoltà che implica e dando a ciascuna il suo tempo per essere gestita.
Chi ha finito l'interrogazione va al posto e può fare il "notaio" guardando dal libro, se sente qualche inesattezza può alzare la mano. I controllori diventano i successivi interrogati e vengono quindi chiamati altri due controllori. 
Per ora funziona: riescono a stare tutti molto attenti, sia quelli che devono ancora essere interrogati, perché sperano che le domande finiscano e che poi vengano rimescolate e ripescate quando tocca a loro, sia quelli che hanno già fatto l'interrogazione, che cercano di capire se i compagni stanno sbagliando. E' diventato quasi un gioco.
Ho solo un problema: quelli che non vogliono parlare. C'è un piccolo gruppetto di bambini e bambine che è troppo imbarazzato dal fatto di venire alla lavagna ed essere messo sotto i riflettori. Cerco di farli parlare anche dal posto (spesso sono ottimi "controllori" e ottimi "notai"), ma a volte non basta. 

Mi chiedo: quanti, nel loro futuro scolastico, sapranno distinguere tra quello che non sanno perché non hanno studiato e quello che sanno ma non sanno esprimere o quello che sanno ma hanno paura di dire?

1 commento:

  1. Riporto di seguito il commenti di un amico al quale risponderò con calma. Intanto grazie!

    "Ho letto il tuo protocollo di interrogazione e ho pensato.

    Credo che la condizione di quei bambini che non vogliono parlare migliorerebbe se il ruolo dei notai-controllori fosse modificato o addirittura eliminato. Secondo me il fatto di sentirsi puntati addosso gli occhi di tutta la classe e di questi notai è uno stress maggiore che l'interrogazione da parte dell'insegnante. Non mi stupisce che alcuni di loro si rifugino nel "comodo" ruolo di notai che consente di esporsi solo quando si è sicuri al 100%.

    Quando ero in prima e seconda elementare il maestro interrogava così: chiamava 4 bambini e li faceva leggere. A ogni errore di lettura, il resto della classe poteva alzare la mano per spiegare quale errore era stato commesso. Chi sbagliava doveva passare il turno a un altro dei 4 interrogati. Se non finiva il paragrafo, doveva rileggerlo la volta dopo, quindi a fine anno c'erano bambini a fine libro e altri a metà - questo era crudele. Era un "mors tua vita mea" in cui si "vincevano punti" a impallinare gli errori altrui.

    Credo che all'insegnante spetti il monopolio della correzione. Al limite può dare la parola a qualcun altro scelto a caso. Oppure, il pubblico e/o i notai siano invitati a prepararsi le risposte che gli interrogati non hanno saputo dare, per esprimerle durante l'interrogazione a loro volta. Ma non sia permesso loro di interrompere l'interrogato.

    Scusa se mi permetto, non ho mai insegnato. ho solo notato questa cosa e mi sono ricordato quanto da scolaro temevo di fare brutta figura di fronte ai compagni più ancora che di fronte all'insegnante.
    Per altro il tuo metodo mi sembra buono per tanti motivi, soprattutto il fatto di abituarli a studiare sul lungo periodo e non solo il compito per il giorno dopo."

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