venerdì 23 settembre 2011

Decimo giorno, venerdì nero

Ricominci l'anno con il massimo dei buoni propositi, con tutta la creatività e la buona volontà, con un carico di energia positiva e di ottimismo; lo fai per allontanare quel giorno che sai che, presto o tardi, arriverà, quel giorno in cui, per la prima volta nell'anno, perderai le staffe. E dopo essere scivolato nell'abisso della rabbia, della ramanzina, delle sgridate, ti ricordi che è un pericolo sempre in agguato, che resistere, da ora in poi, sarà sempre più difficile, richiederà sempre più concentrazione.
Per quest'anno quel giorno è arrivato oggi. Ho resistito 9 giorni e il decimo mi sono arrabbiata. Come spesso avviene, la rabbia ti assale perché si accorge che sei debole, e sei debole o perché sei stanco o perché sei spaventato, oppure tutte e due le cose, come è successo oggi.
Quando arrivo alle 12 tento di organizzare una quarantina di minuti con qualche esercizio semplice e divertente di italiano: le catene di parole. Impiego venti minuti solo per metterli seduti, far prendere i quaderni, spiegare l'esercizio. Nel frattempo loro sono come i moscerini che girano al centro della stanza: si alzano, navigano per la classe, prendono, portano, commentano, ridono, mi chiedono di parlare dei frammenti che dallo spazio ci cadranno sulla testa. Non si riescono ad avere due minuti di silenzio per spiegare. A fatica riesco a far partire l'esercizio, che loro svolgono nella confusione. Poi è impossibile ottenere non dico la fila, ma un sistema decente per scendere la scale. Mangiamo (mangiano), andiamo in cortile, risaliamo le scale fermandoci ad ogni rampa per ricomporre il gruppo. Poi andiamo in bagno a lavarci i denti. Chi finisce prima chi dopo.
Quando rientro in classe mi prende un colpo. Ed è in quel momento, in cui già sono stanca, che mi spavento. E la rabbia, che mi aspettava acquattata sotto la cattedra, mi si aggrappa alla schiena con le sue zampe pelose.
Daniele è davanti alla finestra aperta, ha le mani appoggiate al davanzale, i piedi sollevati da terra e si sporge per guardare di sotto.
E allora mi esce un grido disumano (è la bestia pelosa che grida): “DAAANIEEELEEE!” e grido per farlo sedere su una sediolina vicino alla cattedra e grido per far sedere tutti gli altri ai loro posti e grido per spiegare che non è possibile che si impara a due anni due che non si può sporgersi dalla finestra aperta e grido che questo significa che non ci si può fidare e che allora dovrò tenere le finestre chiuse e che mi ha fatto venire un colpo e che per fortuna ho la pressione bassa così non rischio l'infarto e che lo sanno tutti che la testa è la parte più pesante del corpo e che e che e che.

Ci resta solo un'ora per fare la bella attività di arte e immagine che avevo previsto. Mi calmo, provo a farmi tornare un umore decente. Non riescono a fare una parvenza di fila neanche per uscire.
Quando arrivo a casa ho la nausea dalla stanchezza. La rabbia quando ti assale ti consuma e poi ti getta a terra privo di forze. Rotolo dal divano al letto. Dormo. Bevo un tè. Scrivo.

Forse adesso sono pronta per cominciare il fine settimana.
Oggi c'è la notte dei ricercatori in città, ho consigliato ai miei bambini di andarci, forse li incontrerò.  

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