martedì 6 settembre 2011

Sei settembre. Questa volta no!

Oggi io non faccio sciopero.
Non perché non ci siano motivi per protestare, anzi sono molti di più di quelli che il sindacato ha dichiarato; non perché, in questo periodo di ristrettezze, non voglia spendere una giornata di stipendio per una buona causa; non perché oggi al lavoro ci sia qualcosa di non rimandabile e non per conformismo.
Oggi io non sciopero, ed entrare in quel portone e mettere la mia firma sull'elenco per i controlli mi brucia, ma è un bruciare consapevole.
Oggi io non sciopero perché lo sciopero, in Italia, non è più una forma di protesta efficace, perché un sindacato che sciopera da solo, seppure il sindacato con la maggior percentuale di iscritti, seppur il sindacato al quale verso il mio contributo ogni mese, non otterrà nessun risultato.
Oggi io non sciopero, anche se negli ultimi due anni sono stata tra le prime a scioperare, con una consapevolezza e una forza nuove, perché da oggi 6 settembre comincia la mia Resistenza, perché da oggi 6 settembre comincia la Rivoluzione delle matite.
Per cominciare, oggi mi trovo sul mio luogo di lavoro ma non faccio il mio lavoro: oggi comincio la rivoluzione. Le mie armi sono spugne e detersivi, il mio canto di battaglia il Concerto per pianoforte n.3 di Rachmaninoff (Allegro, ma non tanto - come si addice alla situazione-) che tuona a tutto volume nel mio corridoio. E la mia arma più forte è il sorriso. La rivoluzione delle matite non ha la faccia arrabbiata.
La rivoluzione delle matite comincia rovesciando i luoghi comuni.
Di mestiere insegno, ho una certa collezione di titoli di studio e ho avuto la possibilità di formarmi una buona cultura, oggi la cosa migliore che posso fare, sorridendo, per la mia classe e per il mio lavoro, è rendere la mia aula più bella possibile. Con il sorriso dovuto all'orgoglio che sono io a farlo, ho le mani e le gambe per poterlo fare e non ha alcuna importanza se è o non è mio compito.
La rivoluzione delle matite abolisce le lamentele perché è convinta che non si debba permettere a niente e a nessuno di scalfire la nostra soddisfazione professionale: non saranno due ministri e non sarà neppure un governo che usa tutte le armi che possiede per denigrarci e demotivarci. Non sarà la crisi a impedirci di avere soddisfazione, piena soddisfazione del nostro lavoro.
È per questo che con particolare cura lavo le finestre dentro e fuori con due passate, la seconda con il giornale perché voglio che siano proprio lucide; è per questo che passo anche le maniglie, che mi faccio portare da casa l'aspirapolvere, svuoto gli armadi, li pulisco anche in alto salendo sulla sedia (e proprio in quel momento i miei CD suonano Wagner). E poi quelle stecche porta poster che accumulano la polvere, e l'interruttore. E il pavimento va lavato con l'acqua profumata e poi va passata la cera.
La rivoluzione delle matite comincia andando a lavorare un giorno di sciopero, lavorando due ore in più dell'orario previsto e senza aver paura di fare qualche cosa che non è nostro compito.
Non sono sola nella rivoluzione delle matite, anzi le colleghe mi aiutano e intuiscono altre possibili miglioramenti: come sarebbe bello dipingere di bianco questo muro grigio-marrone! Domani porteremo le piante; in un'altra classe (quella dalla quale ho preso in prestito la cera per il parquet) si pensa a delle candele profumate... La rivoluzione delle matite è profumata ed è contagiosa, perché non si lamenta ma è soddisfatta di quello che fa. Non chiede ma offre.
La rivoluzione delle matite ha un'arma in più: la capacità di fare un lavoro fatto al meglio delle proprie possibilità, qualunque esso sia e in qualsiasi condizione.
La rivoluzione delle matite non si piega a quelle che sono le ristrettezze del presente, ma scrive il futuro con continue e quotidiane azioni di Resistenza. Perché grandi uomini e grandi donne ci hanno già dimostrato che la dignità umana e professionale può essere conservata persino nei contesti più terribili. In onore al muratore di Auschwiz ricordato da Levi: il suo muro doveva essere dritto, anche se si trattava di un muro costruito in schiavitù; in onore a Steinlauf, che ogni mattina rischiava la polmonite per lavarsi. Perché “una facoltà ci è rimasta, e dobbiamo difenderla con ogni vigore perché è l’ultima: la facoltà di negare il nostro consenso. Dobbiamo quindi, certamente, lavarci la faccia senza sapone, nell’acqua sporca, e asciugarci nella giacca. Dobbiamo dare il nero alle scarpe, non perché così prescrive il regolamento, ma per dignità e proprietà. Dobbiamo camminare dritti, senza strascicare gli zoccoli, non già in omaggio alla disciplina prussiana, ma per restare vivi, per non cominciare a morire” (Primo Levi, Se questo è un uomo).

La rivoluzione delle matite non idealizza il passato, ma ha memoria di ciò che è stato, si occupa del presente e costruisce il futuro ogni giorno, per molte ore al giorno. Non si accontenta di andare in piazza una volta al mese.
La rivoluzione delle matite ha dalla sua parte la cultura e saprà offrire un sorriso disarmante in faccia alla volgarità e all'ignoranza. Sarà davanti al nostro lavoro ben fatto, e fatto con il sorriso, che non potranno più darci dei fannulloni, dei privilegiati, degli approfittatori. E con quello stesso consapevole sorriso chiederemo il rispetto dei nostri contratti e diritti sindacali.
Se lo sciopero non funziona più, la rivoluzione delle matite saprà trovare altre forme sorprendenti e contagiose di lotta, imprevedibili.
Perché, la prossima volta, non proporre una domenica a scuole aperte in cui tutti possano venire ad abbellire le scuole, proporre e sentire lezioni?

2 commenti:

  1. Caspita! Io da mamma sarei venuta a dare una mano. Spero che questa rivoluzione delle matite sia contagiosa :)

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  2. Grazie Susy! Ci sarà bisogno anche della tua mano e della tua faccina che sorride!

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